Emilio Salgari, il papà di Sandokan, delle Tigri di Mompracem e di più o meno tutti i corsari, figlie dei corsari e molto più genericamente pirati della Malesia, era diventato famoso per il suo indiscutibile talento ma non solo, anche per la sua fantasia estremamente fertile, che lo portava a descrivere luoghi esotici come i mari del sud est asiatico e le acque calde dei Caraibi (dove se scampavi ad un arrembaggio non potevi certo avere la meglio sugli squali).
Scriveva e descriveva. Parlava di arcipelaghi, foreste e belve fameliche. Narrava di micidiali pugnali con la la lama a biscia e di prahos agili e veloci, con vele enormi e coraggiosi marinai a bordo. Aveva descritto di tutti questi posti, armi e natanti, senza essere mai stato da quelle parti, e nemmeno lontanamente nei paraggi.
Lo scrittore, che non si era mai mosso da Verona prima e da Torino poi, attingeva alle mappe e ai testi che trovava alla biblioteca civica del capoluogo piemontese. Facendolo, riusciva ad immaginarsi le location umide e calde delle zone equatoriali, percependone gli odori, i pericoli e i ronzii soffusi della zanzara anopheles, quella che trasmette la malaria tanto per intenderci.
Insomma, Salgari era un genio.
Mi sono chiesto cosa sarebbe stato in grado di fare se solo avesse avuto a disposizione le tecnologie di oggi.
Digitando il nome avrebbe raggiunto la località voluta. L'avrebbe vista apparire sulla foto satellitare per poi planare sulla trama delle sue strade alla velocità desiderata ed incominciare ad intuire i terrazzi, le piscine e la disposizione di giardini e grosse piante. Spostando appena lo sguardo avrebbe visto la scia spumosa delle barche, in viaggio attraverso un mare verde e senza increspature. Avrebbe individuato le ombre degli edifici proiettate sui marciapiedi, i tettucci delle auto in corsa ed una costruzione dalla forma strana, circondata da una cornice di siepi geometricamente ineccepibile.
Certo non si sarebbe accontentato.
Avrebbe agito sulla rotellina del mouse, fino a rimanere incuriosito dal tetto blu di un grosso palazzo. A quel punto, con un click, l'omino arancione, in paziente attesa sulla destra del teleschermo, sarebbe planato a terra nella magia di una foto panoramica interattiva. Da subito avrebbe cominciato ad esplorare la zona, con il naso all'insù come qualsiasi turista e perché no, bene attento a proteggere il suo prezioso portafoglio dall'attacco di qualche malintenzionato.
Con gli occhi provati dal riverbero bianco della strada avrebbe osservato una doppia fila di palme, che scompariva soltanto nel fumoso orizzonte in lontananza.
Quel palazzo dal tetto blu (quello che lo aveva incuriosito prima) avrebbe rivelato le sue architetture: una commistione piuttosto bizzarra fra la Casa Bianca di Washington e la residenza del Raja (ottimo, si sarebbe detto, per ambientare la storia d'amore fra la nobile inglese che aveva in mente lui ed il bandito dell'arcipelago, quello che si immaginava con i lunghi capelli neri e la fascia intorno alla fronte). Le sue due piccole cupole, simmetriche sui lati, avrebbero presentato la loro superficie curva dipinta di un azzurro acceso, alla pari dei pilastri che sembravano sorreggerla, armonizzati con le murature sormontate da un lungo parapetto in marmo ed in contrasto con le striature lattiginose del cielo.
Certo, l'utilitaria bianca parcheggiata a pochi metri dall'ingresso assieme al camion delle consegne col cassone ancora aperto, non avrebbero potuto essere compatibili con storie di pirati, perle di Labuan e scorribande in mare, ma la cosa non avrebbe avuto importanza. Sarebbe stato sufficiente ignorarne l'esistenza. Anche quella cordolatura spartitraffico, incautamente dipinta con un'alternanza di bianco contaminato copertone e nero sbiadito, sarebbe sparita dalle bozze dei suoi romanzi per fare posto ai margini incerti delle strade sterrate.
Sulla destra, accanto alle palme addomesticate dal vento e ad un giardino di piante grasse, anch'esse orientate nella direzione che gli Alisei avevano stabilito per loro, avrebbe visto dei fiori messi a dura prova dalla severità del sole. Anticipavano un grande prato con l'erba alta, punteggiato in lontananza da cavalli allo stato brado, chi intento a brucare, chi a correre disegnando eleganti traiettorie. Ecco, magari i cavalli se li sarebbe inventati e anzi, avrebbe messo dall'altra parte dei pescatori protetti dal sole con cappelli dalle larghe tese, sudati e chini sugli scafi delle loro barche appena approdate in porto. Qualcuno l'avrebbe voluto riassettare le reti, qualcuno a scaricare il pescato. Gli ultimi, più anziani e smaliziati, li avrebbe visti bene a servire i clienti impazienti sul molo.
Poco oltre avrebbe notato una fitta tessitura di case, tutte affacciate sul mare e tutte dipinte di colori vivaci: dal rosso, al giallo carico, fino all'onnipresente azzurro cielo. L'uomo con il motorino e un improbabile appendiabiti in alluminio, sistemato alla meno peggio fra le gambe, sarebbe diventato un commerciante a cavallo di un asino con un paio di ceste in vimini sistemate sul dorso. Nella mano un frustino e in quell'altra una corda, pronta per assicurare l'animale alla balaustra della prossima locanda. Il tram zeppo di passeggeri avrebbe avuto una promozione a carrozza con sei traini e la fila di impiegati alla cassa del supermercato sarebbe evoluta in un plotone di mercenari, infallibili tiratori e combattenti bene addestrati, fedeli e agli ordini di Lord James Brooke.
Ma che differenza avrebbe fatto alla fine?
Nessuna, Emilio Salgari avrebbe lasciato il segno comunque, ma forse l'avrebbe fatto più in fretta, senza accodarsi nell'anticamera di una polverosa biblioteca e senza ravvivare gli acari di una antica mappa, arrotolata su se stessa da chissà quanti anni.
Sognare e fantasticare è un dono divino.
Viaggiare, vivere i posti ed annotare le sensazioni su un taccuino sempre a portata di mano è meglio ancora, ma non tutti possono permetterselo.
Allora, direi, non c'è davvero nulla di male nell'aiutarsi con Street View...
Scriveva e descriveva. Parlava di arcipelaghi, foreste e belve fameliche. Narrava di micidiali pugnali con la la lama a biscia e di prahos agili e veloci, con vele enormi e coraggiosi marinai a bordo. Aveva descritto di tutti questi posti, armi e natanti, senza essere mai stato da quelle parti, e nemmeno lontanamente nei paraggi.
Lo scrittore, che non si era mai mosso da Verona prima e da Torino poi, attingeva alle mappe e ai testi che trovava alla biblioteca civica del capoluogo piemontese. Facendolo, riusciva ad immaginarsi le location umide e calde delle zone equatoriali, percependone gli odori, i pericoli e i ronzii soffusi della zanzara anopheles, quella che trasmette la malaria tanto per intenderci.
Insomma, Salgari era un genio.
Mi sono chiesto cosa sarebbe stato in grado di fare se solo avesse avuto a disposizione le tecnologie di oggi.
Digitando il nome avrebbe raggiunto la località voluta. L'avrebbe vista apparire sulla foto satellitare per poi planare sulla trama delle sue strade alla velocità desiderata ed incominciare ad intuire i terrazzi, le piscine e la disposizione di giardini e grosse piante. Spostando appena lo sguardo avrebbe visto la scia spumosa delle barche, in viaggio attraverso un mare verde e senza increspature. Avrebbe individuato le ombre degli edifici proiettate sui marciapiedi, i tettucci delle auto in corsa ed una costruzione dalla forma strana, circondata da una cornice di siepi geometricamente ineccepibile.
Certo non si sarebbe accontentato.
Avrebbe agito sulla rotellina del mouse, fino a rimanere incuriosito dal tetto blu di un grosso palazzo. A quel punto, con un click, l'omino arancione, in paziente attesa sulla destra del teleschermo, sarebbe planato a terra nella magia di una foto panoramica interattiva. Da subito avrebbe cominciato ad esplorare la zona, con il naso all'insù come qualsiasi turista e perché no, bene attento a proteggere il suo prezioso portafoglio dall'attacco di qualche malintenzionato.
Con gli occhi provati dal riverbero bianco della strada avrebbe osservato una doppia fila di palme, che scompariva soltanto nel fumoso orizzonte in lontananza.
Quel palazzo dal tetto blu (quello che lo aveva incuriosito prima) avrebbe rivelato le sue architetture: una commistione piuttosto bizzarra fra la Casa Bianca di Washington e la residenza del Raja (ottimo, si sarebbe detto, per ambientare la storia d'amore fra la nobile inglese che aveva in mente lui ed il bandito dell'arcipelago, quello che si immaginava con i lunghi capelli neri e la fascia intorno alla fronte). Le sue due piccole cupole, simmetriche sui lati, avrebbero presentato la loro superficie curva dipinta di un azzurro acceso, alla pari dei pilastri che sembravano sorreggerla, armonizzati con le murature sormontate da un lungo parapetto in marmo ed in contrasto con le striature lattiginose del cielo.
Certo, l'utilitaria bianca parcheggiata a pochi metri dall'ingresso assieme al camion delle consegne col cassone ancora aperto, non avrebbero potuto essere compatibili con storie di pirati, perle di Labuan e scorribande in mare, ma la cosa non avrebbe avuto importanza. Sarebbe stato sufficiente ignorarne l'esistenza. Anche quella cordolatura spartitraffico, incautamente dipinta con un'alternanza di bianco contaminato copertone e nero sbiadito, sarebbe sparita dalle bozze dei suoi romanzi per fare posto ai margini incerti delle strade sterrate.
Sulla destra, accanto alle palme addomesticate dal vento e ad un giardino di piante grasse, anch'esse orientate nella direzione che gli Alisei avevano stabilito per loro, avrebbe visto dei fiori messi a dura prova dalla severità del sole. Anticipavano un grande prato con l'erba alta, punteggiato in lontananza da cavalli allo stato brado, chi intento a brucare, chi a correre disegnando eleganti traiettorie. Ecco, magari i cavalli se li sarebbe inventati e anzi, avrebbe messo dall'altra parte dei pescatori protetti dal sole con cappelli dalle larghe tese, sudati e chini sugli scafi delle loro barche appena approdate in porto. Qualcuno l'avrebbe voluto riassettare le reti, qualcuno a scaricare il pescato. Gli ultimi, più anziani e smaliziati, li avrebbe visti bene a servire i clienti impazienti sul molo.
Poco oltre avrebbe notato una fitta tessitura di case, tutte affacciate sul mare e tutte dipinte di colori vivaci: dal rosso, al giallo carico, fino all'onnipresente azzurro cielo. L'uomo con il motorino e un improbabile appendiabiti in alluminio, sistemato alla meno peggio fra le gambe, sarebbe diventato un commerciante a cavallo di un asino con un paio di ceste in vimini sistemate sul dorso. Nella mano un frustino e in quell'altra una corda, pronta per assicurare l'animale alla balaustra della prossima locanda. Il tram zeppo di passeggeri avrebbe avuto una promozione a carrozza con sei traini e la fila di impiegati alla cassa del supermercato sarebbe evoluta in un plotone di mercenari, infallibili tiratori e combattenti bene addestrati, fedeli e agli ordini di Lord James Brooke.
Ma che differenza avrebbe fatto alla fine?
Nessuna, Emilio Salgari avrebbe lasciato il segno comunque, ma forse l'avrebbe fatto più in fretta, senza accodarsi nell'anticamera di una polverosa biblioteca e senza ravvivare gli acari di una antica mappa, arrotolata su se stessa da chissà quanti anni.
Sognare e fantasticare è un dono divino.
Viaggiare, vivere i posti ed annotare le sensazioni su un taccuino sempre a portata di mano è meglio ancora, ma non tutti possono permetterselo.
Allora, direi, non c'è davvero nulla di male nell'aiutarsi con Street View...
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