giovedì 11 marzo 2021

La festa in terrazza. Il dilemma del cecchino...





La terrazza è allestita con gusto. 
Ci sono le tesate di lampadine colorate che l'attraversano nei due sensi, gli ombrelloni chiusi e le bandierine che sventolano ai quattro angoli del parapetto. Il tavolo con il ricco buffet, in costoso legno di teak, è sistemato contro la parete al fondo e coperto con una tovaglia che concede spazio alle venature. Le luci accese dell'attico brillano dietro l'ampia vetrata e tutto il monolocale è inquadrato come un film al cinema. Si vedono la porta di ingresso sul fondo, l'accesso al bagno con una pesante targa toilette in metallo pressofuso e una coppia di quadri che da soli farebbero la felicità di tanta gente. I tetti della città tutta intorno sono amalgamati con la notte e le finestre accese conferiscono quell'aria da presepe che riscalda il cuore. Un cameriere, con le braccia riunite dietro alla schiena e il passo felpato, si occupa degli ultimi dettagli, verifica la freschezza delle vivande e raddrizza qualche bottiglia qua e là. L'Amarone della Valpolicella spicca, con la scritta rossa realizzata in rilievo sull'etichetta scura e le tre scelte di champagne per gli antipasti sono in ghiaccio vicino a una labile torre di calici in cristallo.
I primi invitati sono una coppia di mezza età. Lui calvo, la giacca blu indossata con dimestichezza insieme a un paio di jeans scoloriti e una camicia bianca che lascia intuire il petto lavorato in palestra. Lei ancora piacente, con un vestito azzurro e le gambe affusolate e sane messe in bella mostra. Il cameriere li accoglie, ritira la borsetta per sistemarla su una lunga cassapanca accanto a un armadio a muro che potrebbe contenere una barca intera. Subito dopo entrano due ragazze che non risparmiano i sorrisi. Dispensano un paio di invidiabili decolté e abbronzature fresche di spiaggia. Come nella migliore tradizione sono una bionda e una bruna che rendono difficile decidere quale sia meglio. La bionda può contare su un sedere da concorso mentre l'altra si fregia di un paio di enormi occhi scuri. Ha  classe, anche se tradita da un filo di rossetto di troppo. Anche le loro borsette sono prese in custodia dal diligente cameriere. 

La terrazza comincia ad animarsi: una signora agèe con i lustrini appiccicati al vestito lungo, un uomo altrettanto anziano che esibisce baffi banchi e curati, una coppia di giovani fidanzati che appaiono un po' imbarazzati. Lei preferisce tenere con sé la borsetta lui, molto più alto, le cinge le spalle con un metro di braccio chinandosi in modo buffo per baciarla sui capelli. Entrambi sono stupiti dalla ricchezza del menù e dall'offerta generosa di grandi vini. Passano in rassegna il tavolo, s'incuneano negli spazi fra le poltroncine e arrivano abbracciati al parapetto che si affaccia sul panorama.
Della presidentessa ancora nessuna traccia.
Ho studiato a lungo le dieci fotografie che mi erano state fornite assieme ai cinquantamila euro. Il cliente metteva sul tavolo una mazzetta da cinquemila e vi sovrapponeva una foto.
“Studiala bene”, si era raccomandato, e io avevo scrutato quei lineamenti, la giovanile compattezza della pelle e la luce negli occhi. Le labbra rosse e le spalle toniche. Nella seconda foto, quella abbinata alla seconda mazzetta di banconote, appariva in costume giallo carioca mentre camminava su una spiaggia deserta con le due guardie del corpo che  la seguivano discrete. La terza la ritraeva al lavoro dietro alla scrivania e la quarta come relatrice di una conferenza affollata. Il vistoso microfono non copriva il  bel viso e i capelli raccolti in un chignon assieme agli occhiali di tartaruga dalle grosse lenti le cambiavano l'aspetto in modo significativo. Nulla era stato lasciato al caso.
“Sarà l'unica occasione in cui si presenterà senza la scorta e senza che nessun protocollo di sicurezza sia messo in pratica. Capisci da te che non potrai fallire” aveva sottolineato mentre la quinta porzione del mio acconto si materializzava sul piano del tavolo in compagnia  dell'ennesima foto.
Ho avuto il tempo di imparare quella faccia a memoria e poi ho approfondito, andando alla ricerca dei video che la riguardavano. 
Sono un professionista. 
Ho iniziato a sparare nei tre anni di ferma militare e lì ho scoperto la mia abilità di cecchino. Mi ero arruolato dopo la delusione d'amore con Lara, la donna più bella e importante della mia vita, la compagna perfetta. Mi aveva lasciato, senza una spiegazione, senza un ripensamento. La sera era l'incarnazione dell'amore e il giorno dopo solo un ricettacolo di capricci e paranoie. I mazzi di fiori che le avevo fatto trovare sulla porta non erano serviti a nulla e alla fine, invece di dodici rose rosse, mi ero abituato a stringere un fucile di precisione.
Pam, e saltavano le teste delle sagome.
Pam, e saltavano le teste.
Mi avevano soprannominato pam pam boy.
Questo è il mio quinto incarico e mai ero stato pagato tanto. La presidentessa è un bersaglio che vale tutti i soldi che mi hanno dato e gli altri che ritirerò a cose fatte. 
Non è un brutto lavoro il mio. Non mi avvicino mai alle vittime, le vedo cadere senza vita nell'ottica di precisione del mio Sako. 
Pam.
È una sensazione fredda, come quando assisti al cinema alla morte degli attori. Il rimorso dura lo spazio di un secondo e poi intendiamoci, una volta che il proiettile parte è come il destino: non c'è modo di cambiargli la direzione.
“Non sono ammessi errori. Abbiamo la soffiata giusta e il posto perfetto. Sparerai da lassù...”  e aveva indicato un vecchio stabile in stile ottocentesco, dipinto di un diffusissimo giallo Torino. Spiccava dal terreno per quattro piani sulla pendice della collina. Era vuoto come un guscio di lumaca e fino alla terza fila di finestre le folte chiome degli alberi coprivano la facciata. 
“ La proprietaria è una vecchia che vive da sola in quel casermone. Sappiamo che si è appena rifatta il femore e che non uscirà dalla clinica prima di tre settimane. Non dovrai forzare le porte perché ci siamo procurati una copia delle chiavi.”
Che tintinnavano sotto il mio naso esattamente come quelle della Mercedes, che la coppia di ospiti ha appena lasciato in custodia al cameriere ossequioso. Sono un paio di uomini con l'aria di non avere mai lavorato e quelle facce da chirurgia plastica che si notano con l'occhio attento. Il più alto dei due zoppica un po' e immagino si sia infortunato durante una sessione di sci d'acqua o magari cadendo da cavallo. Il più basso tiene le mani infilate nelle tasche alte di una felpa con cappuccio. Io non oserei presentarmi a una serata di quella classe con quell'atteggiamento e nemmeno con addosso una volgare felpa da rapper.
 
Stacco l'occhio dal cannocchiale. 
Voglio riposare un po', prima che la presidentessa si presenti all'appuntamento con la sua fine e mi guardo intorno. 
La stanza dove mi trovo è buia come la pece e la porta di ingresso all'alloggio del quarto piano è rimasta socchiusa su un pianerottolo che sa di cera Emulsio. Una volta colpito me la chiuderò alle spalle e scomparirò nel nulla. Il davanzale della finestra da dove sparerò é basso e si presta per un tiro preciso senza che nessuno possa notare il fuoco sulla bocca della canna. Muovo le gambe per impedire che si addormentino, invoglio il sangue a circolare e riprendo la mia postura da cecchino.
Sulla terrazza la gente è aumentata e comincia a esserci confusione. Scruto anche all'interno ma non vedo la mia vittima. Solo quelli che avevo già visto e altre comparse insignificanti che si sono aggiunte all'imbarazzo.
“Non staremo a sindacare se dovrai abbattere qualcuno che si mette sulla traiettoria o che proprio non vuole levarsi dai coglioni. Fatti strada, se necessario ma non fallire. Non farti scrupoli per quella gentaglia, loro non se li farebbero per te. Lo sai che se dovessi mancare l'obiettivo, uno dei nostri ti aspetterà sotto per spedirti al creatore. Le certezze sono poche in questo mondo ma fino a ora è abbastanza evidente che i morti non parlano.” mi aveva detto e non so come ma pensavo a Lara, ai nostri anni passati insieme, al nostro gattino bianco, alla pizza del giovedì sera, al cinema, al suo sorriso che curava i dolori, al suo corpo perfetto. Di lei ricordo gli occhi verdi, il piccolo neo accanto al labbro e le ciglia lunghe come petali. Di lei ricordo il profumo e la pelle liscia come la seta.
Se oggi uccido è perché lei mi ha ferito ieri.

Passo in rassegna tutti gli invitati con una paziente scansione dei volti, da destra verso sinistra. Sono a duecento metri dal bersaglio ma l'ottica è potente e distinguo ogni particolare. I ragazzi giovani e timidi si sono lasciati riempire i bicchieri con qualcosa di blu e l'uomo con i baffi bianchi conversa  con i tipi in Mercedes gesticolando vistosamente. Il camerieri ora sono due. Si è aggiunto un ragazzo con un vistoso auricolare e non stanno mai fermi, sempre attenti che non venga a mancare nulla. L'uomo calvo con i pettorali invidiabili sgranocchia una tartina al caviale. 
Il vento contrario sospinge la musica verso la città ma da come si muovono i fianchi e da come i piedi battono il tempo, posso  immaginare un jazz sulla terzina di quarti.
Respiro.
È bene mantenere il cervello ossigenato e ricacciare i piccoli dolori e principi di crampi.
“Le sparerai appena arriva in terrazza. È autorevole e riverita quanto basta per fare spostare tutti i convenuti. Le faranno strada come una mucca in India e allora sarà facile. Piazzale il tuo solito colpo al cuore e quell'altro in mezzo alla fronte. Smonta, lascia in ordine la stanza, chiudi la finestra, la porta e vaporizzati. Il resto del grano te lo facciamo arrivare a casa”
Eccola!
La presidentessa entra in casa. Il cameriere ossequioso sbatte i tacchi e le va incontro per ritirare la borsetta. Con lei ci sono un'amica con il volto nascosto dietro un muro di spalle e applausi e un vecchio dirigente che cammina a fatica. Intuisco che l'amica chiede del bagno e s'infila subito dietro la porta con la pesante targa.
Potrei sparare adesso, fare in modo che il proiettile attraversi il vetro e colpisca, ma se la ragnatela che andrebbe a formarsi fosse troppa estesa, mi troverei con il campo visivo compromesso. Meglio attendere che il bersaglio arrivi in terrazza. Quando vedrò gli invitati aprirsi come le acque del Mar Rosso, avrò capito che il momento è arrivato.
Mi rilasso.
Sparare richiede la consapevolezza e il relax da monaco tibetano. Si deve controllare il respiro, dominare il cuore e vincere l'emozione. Nessun tremore o ripensamento. Un buon tiratore impara subito a rilassare lo sfintere. È buffo ma il cecchino deve sapere gestire meglio di altri il suo buco del culo.
Partono gli applausi
La terrazza è illuminata a giorno e i convenuti lasciano un passaggio largo e comodo per l'ospite d'onore, la sua strada in discesa per l'inferno. Per enfatizzare l'effetto scenografico vengono spente le luci all'interno della casa. La donna morta che cammina comparirà dal buio come una grande attrice che si prende il palcoscenico. E io mi prenderò lei.
Respiro.
Il collo è docile e rilassato, le spalle sono leggere e tutto, dal petto in giù, si distende come scritto nei manuali del provetto assassino.
“Avranno le luci negli occhi. Nessuno davvero, nemmeno se fortunato, capirà da dove sono partiti i colpi. Sa cosa le dico? La riempio di soldi per farlo ma quasi quasi potrei cavarmela da solo” e aveva riso fino a stare male mentre mi aspettavo la pacca sulla spalla che sarebbe arrivata di lì a poco. Certa gente non porta rispetto nemmeno per i morti.
Il cuore rallenta, il sangue rallenta. 
Il tempo rallenta. 
Il reticolo del cannocchiale taglia in due l'ampiezza della porta. La croce punta dove presto ci sarà un cuore da spaccare.
Quando Lara, la mia ex fidanzata, si presenta per  prima sorprendendo gli ospiti, sento un cazzotto nello stomaco e mi manca il fiato, la ragione si annebbia e il cerchio della lente inquadra una confusione di colori e luci in movimento. Litigo con il fucile, sono travolto da una valanga di dolori e tensioni e si asciuga la bocca come se avessi ingoiato un phon. L'ano si stringe e mi crolla il mondo addosso. 
La presidentessa è dietro di lei. Sorride, dispensa saluti, scherza, fa gesti con la mano e inchini compiaciuti. Solo che i suoi organi vitali, quelli che dovrei spappolare con un proiettile 7,62 Heckler & Koch, sono protetti dal corpo di Lara. 
Non potevo immaginare fossero amiche o amanti o socie, e così in confidenza. Avrei rifiutato l'incarico se solo l'avessi saputo e sarei corso ad avvertirla a costo di bruciarmi la carriera. Lara è bella come un tempo, maturata, con lo sguardo pieno di consapevolezza. Deve essere ricca e si sposta solo per un attimo quando il cameriere gli porge il bicchiere e so che non avrei potuto approfittare dell'occasione nemmeno al massimo della concentrazione. 
Ora sono ostaggio del caos.
C'è una missione senza appello, un killer che mi aspetta all'uscita e cinquantamila euro di acconto che andranno bene per il mio funerale. Chi mi ha dato l'incarico non poteva sapere del mio amore per Lara ed ecco che in naufragio sta per avvenire. 
Cerco la concentrazione, asciugo il sudore che cola dalla fronte e provo a mettere un freno alle pulsazioni. Sono troppe anche per guardarsi una partita.
Nulla.
La presidentessa avanza attraverso il terrazzo, con Lara che la precede di un metro, sempre. Quando si spengono tutte le luci comincia il secondo atto della macabra commedia.
La terrazza rimane al buio. 
Le sole candele brillano sui tavolini ma il resto della festa è una massa confusa e buia. Nessun bersaglio per pam pam boy.
Hai la scusa, amico! Mi convinco che le luci spente all'improvviso siano la mia grande occasione per defilarmi,  tornare dal committente e liquidarlo con un'alzata di spalle. 
“Non sapevate che era una festa a lume di candela? Mi dispiace davvero se siete stati informati male ma avreste dovuto mandare un sicario sul posto e non piazzare un cecchino alla finestra...”
Funziona. 
Non ho con me ottiche agli infrarossi e ogni minuto che passa divento una facile preda e addio omicidio eccellente. Do ancora un'occhiata verso la terrazza ma le uniche luci che vedo sono le solite candele e le punte rosse delle sigarette accese. 
Smonto il fucile dal supporto, lo sistemo nella sua custodia senza fretta e mi alzo. Mentre chiudo la finestra vedo che la festa prosegue alla tenue luce delle fiammelle e non ci posso fare niente. Come da consegne verifico che la stanza sia in ordine, esco sul pianerottolo che sa di cera e lentamente comincio a scendere le scale. 

La padrona di casa si materializza sul pianerottolo del piano di sotto sorreggendosi con l'aiuto di un girello ortopedico. Ha le ascelle pizzicate fra gli appoggi e il pigiama e la faccia di rughe e macchie paralizzata dalla sorpresa. Noto le ciabatte di pelo fucsia e una curiosa retina per i capelli color rapina in banca.
“Dio Santo ma lei chi è?” e poi si mette a gridare come un'aquila, sputacchiando come una marmitta guasta. Urla e picchia in terra il piede della gamba sana. “ Come diavolo ha fatto entrare e cosa...cosa porta in quella valigia!” e capisco. Capisco che potrebbe dettare il mio identikit nel tempo di un caffè e che è lucida e ci vede benissimo dietro quegli occhiali spessi che sanno di vecchia profia. Puzza di disinfettante perché è appena uscita dalla clinica e sono sicuro che con il cellulare sia veloce come un pistolero. 
Quando la vedo ruotare il girello per rientrare in casa, la colpisco con lo spigolo della custodia e la stendo. Si accartoccia come una lattina sotto le ruote e muore. Nessuno sopravvive con la testa rotta e il cervello  che cola sullo zerbino come il formaggio del toast sul tovagliolo. Ancora qualche scatto nervoso delle gambe e poi la fine. La nuvola di capelli bianchi trattenuta dalla retina assorbe il sangue sul pavimento.

Dal momento che le cose possono solo peggiorare, torno all'ultimo piano per verificare se la festa sia ricominciata con l'aiuto della luce elettrica e sì, maledizione, è così. Non sono più le lampadine da festa Texana di prima ma  faretti che inondano di viola tutta la scena.
Penso di impazzire ma la  cosa che mi toglie il fiato è che gli invitati sono tutti in maschera.
E mantello. Maschere di varie fogge e mantelli neri che strisciano al suolo. Sono alti, sono bassi ma non hanno sesso né volto e nessuno può dire chi sia il bersaglio e chi sia Lara.
Prendo il telefono e scatto delle foto. Mi dispiace tanto per la nonnina e il committente mi crederà e amici come prima. Mentre metto a fuoco, l'apparecchio vibra fra le mani.
“Sì...!
“Non abbiamo altra scelta. Spara a tutto quello che si muove!
“Cosa cazzo!
“Uno dei camerieri è dei nostri. Gli diciamo di bloccare la porta in modo che non possano uscire e vedi tu. Probabilmente, dopo averne buttati giù un paio, si leveranno le maschere e allora potrai farti un'idea...”
“No, davvero, è una pazzia e a proposito, ho fatto una pessima figura con la padrona di casa, quella che secondo voi era in clinica...”
“Siamo mortificati. Sono cose che possono capitare ma noi dobbiamo ammazzare la stronza, capisci, altrimenti crollano le azioni e si vaporizzeranno milioni e milioni di dollari e poi si vaporizzeranno i nostri sederi. Fai saltare qualche cranio e stiamo a vedere.”
Sento in bocca un gusto di frutta andata a male e vedo la morte accomodarsi al mio fianco. Gli ospiti della festa stanno mettendo in pratica un rito propiziatorio oppure, e semplicemente, sono così ricchi e annoiati e strafatti da non sapere più come divertirsi. Lara è in mezzo a loro. Tutto mi aspettavo da lei, meno che diventasse parte dell'alta società.
Sistemo il supporto in fretta, monto nuovamente il fucile, l'ottica del mirino e scruto nel viola più profondo che abbia mai visto. Ci sono maschere abbondanti e gotiche, altre barocche e decorate, altre ancora essenziali e linde. Riconosco il ragazzo alto in compagnia della fidanzata assai più piccola. Sono impacciati nell'angolo lontano e si danno la mano che sbuca dal mantello. Quello della Mercedes zoppica ed eccolo che si aggira fra le poltroncine e poi il vecchio con i baffi. Non mi sono dimenticato della sua postura lievemente gobba. 
Lara, dove sei?
Presidentessa, fai il leader anche sotto la maschera, scava la folla come un aratro. Manifestati!
Ma è solo un avanti indietro con il cannocchiale e tanta frustrazione. Vorrei un bicchiere d'acqua, un pediluvio e la possibilità di fare una telefonata alla mamma.
Non sono esaudito. 
“Pronto.” silenzio.
“Pronto...”
“Pare che la puttana indossi una maschera con la finitura in pizzo e le labbra rosse vermiglio. Non so di più, amico, e buona fortuna.”
Labbra rosso vermiglio, pizzo. Le maschere come quella sono almeno dieci e temo che Lara, per seguire un brand aziendale, sia sotto una di loro. 
Ma Lara è alta e allora sparo nel petto a quella più bassa di tutte. Barcolla, cerca un sostegno nel tavolo di teak, si aggrappa alla tovaglia e poi cade, rovesciandolo. Tutti accorrono, qualcuno si porta il telefono all'orecchio, qualcuno le mani al volto. Nessuno di loro abbassa la maschera e allora insisto e piazzo un 7,62 accanto allo zigomo della seconda in ordine di altezza e vedo un larga crepa rossastra formarsi nella maschera mentre la torre di calici in cristallo esplode in tutte le direzioni. La fuga verso l'interno della casa è immediata, violenta come una mareggiata e io sono un uomo morto. Sparo e poi spero e poi sparo ancora. C'è qualcuno che inciampa sui cadaveri e cade a fare mucchio mentre la confusione addosso alla porta bloccata è un nodo alla gola, un boccone di vetro rotto che non va giù, la fine della mia carriera. Dovranno pagarmi il doppio o il triplo. Il quadruplo perché ho appena bucato le costole di una maschera che nulla ha a che fare con labbra vermiglio, pizzetti e donne da eliminare. Vedo il mantello che svolazza come in una tempesta e il corpo che si accascia.
Ricarico.
Sparo. Fine del vecchio dirigente.
Ricarico. 
Sparo. Addio bella brunetta, che la terra ti sia lieve.
Sono così teso che potrei spezzarmi se un canarino mi atterrasse sulla schiena.
Mi dispiace di avere colpito la fidanzata timida. La vedo portarsi le mani al ventre,  cadere in ginocchio e reclinare il capo. Rimane genuflessa come una statuina adorante e la maschera rotola in terra. Il suo fidanzato è già morto da un po'.
Dieci volte tanto. Dovranno pagarmi dieci volte tanto, e sparo. 
Cade un tavolino con le candele che sprizzano scintille ovunque e cade la bionda con il sederino desiderabile.
Giù come birilli e il colpo che arriva all'anziano signore un po' gobbo e orgoglioso dei suoi baffi imbratta di sangue, cervello e frammenti di maschera la vetrata che divide il terrazzo dalla casa e non solo, apre la malaugurata ragnatela nel cristallo.
Così continuo a sparare fino a che il cristallo si disintegra in una cascata di piccole schegge. Colpisco anche quelli stesi in terra con le mani  incrociate sulla nuca e gli altri che cercano rifugio dietro le labili poltroncine e i sottili tavolini e i corpi senza vita sotto un mantello nero.
Carico.
Sparo.
Carico. Pam pam boy ha la spalla che duole.
Sparo talmente tanto che rendo irrespirabile l'aria della stanza.
Quando l'ultimo dei bersagli cede con un fiotto di sangue che schizza dal collo, capisco che sulla terrazza sono rimaste in due e sono sicuro che una di quelle sia Lara e l'altra lei, la manager da milioni di dollari che ha tirato troppo la sua corda. 
“Via la maschera, su” invoco, ma so bene  che la loro è una scelta deliberata. 
Mentre il sangue cola dal terrazzo e imbratta la facciata con tanti rivoli rossi, mentre una montagna di carne senza vita spinge contro la porta sbarrata, aspetto che una delle due donne, che tremano come foglie in un temporale, tradisca. Mormoro, imploro, prego come un condannato a morte.
“Da brava, amore. Leva la maschera...”
Ancora il telefono. 
Nella cornetta si avvertono le sirene della polizia e so che non ho più tempo. Qualcuno in città avrà individuato il tiratore e ho i minuti contati. 
“Hai fatto trenta, amico. Coraggio, fai trentuno prima che arrivino gli sbirri.” 
“Levala. Levala, Lara, fai vedere il tuo bel visino. Ti prego, non deludermi ancora!”
Sento le mani sudate scivolare sul fucile e la canna che puzza come una stufa vecchia e ho soltanto più un proiettile. Probabilmente me la sono anche fatta addosso. Non devo essere uno spettacolo ma adesso sento le sirene  dal vivo.
Arrivano.
Le due amiche sanno di non avere scampo. Non urlano o tentano di fuggire. Nella foga ho abbattuto anche il cameriere ossequioso, che era l'unico con il volto scoperto e la cosa sta influendo drammaticamente sul bilancio delle munizioni e so che mi costerà cara.
Ora sono abbracciate e aspettano. Lara sa che i dividendi delle scellerate operazioni in borsa spetteranno anche a lei e io non ho scelta.
Vivrò se ritornerò alla base senza avere avanzato nemmeno un colpo e forse vivrà anche lei.
Vivrò se diventerò parte del buio prima che i lampeggianti della polizia mi accechino.
Controllo il respiro.
Domino il cuore. 
Vinco l'emozione. 
Nessun tremore o ripensamento. Rilasso lo sfintere, prendo la mira sulla maschera a sinistra e sparo.
Una volta che il proiettile parte è come il destino: non c'è modo di cambiargli la direzione.

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