venerdì 4 febbraio 2022

Pezzetti

 



"Credo di avere la gamba rotta..." dice, sforzandosi di infilare le parole fra i rantoli mentre i bottoni della camicia volano via. Quella fame d'aria fa pensare che qualche costola abbia impattato con il telaio duro del volante, che i polmoni siano stati accarezzati con gli artigli. "Guarda, guarda cosa vedi!"
Ma io non voglio muovermi. Senza sporgermi, distinguo una montagnetta di carne che spinge sotto il tessuto dei jeans, proprio là dove non ci dovrebbe essere. A guardare meglio, i pantaloni del mio socio sono impregnati di sangue, e piscio. L'odore arriva al naso insieme a quell'insopportabile puzzo di ferro rovente e benzina e plastica bruciata. Il parabrezza, ridotto a una ragnatela, inquadra un azzurro senza confini e l'olio del motore cola nel vuoto: plop...plop...plop. 
Posso solo immaginare che un sasso sporgente si sia infilato fra la ruota posteriore e il parafango e che il nostro appuntamento con la morte sia rimandato solo grazie a lui. Ricordo che mi sono tenuto forte mentre il furgone scivolava sul pendio di erba e fiori e che nulla avrebbe rallentato la corsa verso il precipizio e invece, proprio mentre i frammenti della mia vita scorrevano in mente a velocità folle, la tonnellata di lamiera e gomma si è fermata di colpo. Ricordo che il socio, come suo solito, non indossava le cinture. "Mi soffocano, mi fanno sentire come un bel cazzone dentro le mutande strette, capisci? Mi sembra di essere un pupazzo del crash test." diceva. È stato lì che gamba e costole sono partite.
"Senti, amico, sei messo male ma che importanza vuoi che abbia? Siamo agganciati a qualcosa che non dura e che ci prenderà in giro ancora per un po' prima di lasciarci andare."
La lacrima di dolore, cola fino a quando si mischia con il sangue uscito dal naso. Il respiro affannato lo risucchia e poi lo spinge fuori con grumi, bolle e rigurgiti da vulcano che finiscono per imbrattare la camicia senza bottoni. Quello che posso fare è augurarmi che gli avanzi una narice buona e passargli la cocaina che ho in tasca. È  chiusa in un involto di stagnola e doveva servire per non sentire il botto, per spegnere il fuoco che ti brucia dentro. Assieme a un paio di bicchieri di whisky buttati giù in un colpo, avrebbe anestetizzato le nostre anime.
"No, non ne voglio di quella merda!"
"Manderà il dolore a dormire e intanto vediamo se ci viene un'idea..."
Il solo pensiero di ribellarsi al nostro destino ha effetto sul baricentro e il furgone oscilla come un ubriaco sul marciapiede. Quello che vedo negli occhi del mio socio è un mix di terrore, rassegnazione e sofferenza. A scavare nel suo sguardo s'intravede il bisogno di pregare e la consapevolezza di non saperlo fare. Io mi risparmierei il fiato, evitando la vana ricerca di un posto in paradiso con i biglietti del bagarino ma lui, lui deve fare i conti con un cane cattivo che gli sbrana la tibia e con una mano pesante che preme sul petto.    
"Fatti una sniffata e vediamo di mettere insieme due teste che pensano."
Stringe i denti che pare di sentire i rumori della segheria e sporge la mano. "Dai...dai, mettine un po' qui...cazzo!" impreca, perché il movimento in avanti è piuttosto evidente e la carrozzeria pare stancarsi di morsicare quello spunzone che ci sta tenendo su. L'ammortizzatore scricchiola e il terreno si sfalda sotto il peso. A farci attenzione, si sentono rotolare nel vuoto le ruote davanti, e lentamente: gnick...gnick...gnick.
"Chi è stato a rubare questa merda di furgone?"
"Metti su la coca!" grida mentre sputacchia sangue sul parabrezza e agita pericolosamente la mano. Mi sforzo di improvvisare una striscia sul dorso ma mi riesce tutta storta e paurosamente carica. Senza discutere, porta la mano sotto il naso e tira su come uno di quegli aspirapolvere a gettone. "Cazzo, cazzo, cazzo! Ancora un po'. Ne voglio ancora e mi spuntano le ali!"
E non lo contraddico. Per prima cosa perché un paio d'ali a testa farebbero comodo e perché voglio evitare che il socio si metta a saltellare sul sedile. L'impegno è massimo e il risultato, chirurgico: cinque centimetri di felicità artificiale capaci di farti esplodere il cervello come un proiettile a punta cava. Il terrore m'invade, partendo dai testicoli, quando lui sbatte la nuca contro l'appoggiatesta e un rumore di barca in alto mare attraversa la scocca come un fulmine. Poi ancora l'azzurro oltre il vetro e quel senso di pace.
"Chi ha rubato il furgone? Vuoi davvero sapere chi ha rubato il furgone?"
"Forse...forse non è colpa sua. Chi è stato?"
"Ma chi vuoi che sia stato?"
"È stato lui, il Marcio?"
" E chi se no? Il Marcio, come tutte le altre volte, ha liberato un parcheggio senza che nessuno ci facesse caso e manco un cane si è preso la briga di controllare se il catorcio avesse i freni in ordine."
"Tu dici?"
"Sì, dico. Dico che ci hanno mandati in città a parcheggiare questa baracca con quattrocento chili di tritolo nel vano senza prima controllare i freni."
A fare certe cose non s'impara mai per davvero. C'è quella vocina dentro che ti rimprovera appena il tuo cervello fa un po' di silenzio e quel dolore che non fa mai pace con la pancia.  
E poi sono tutti dilettanti. 
Avevano le farfalle nello stomaco, prima, lavoravano, s'innamoravano e guardavano tramontare il sole, sicuri che il giorno dopo sarebbe stato migliore. Erano ragazzi, padri di famiglia e donne, ma con troppa guerra da digerire, troppe botte nelle ossa e troppe galere nei ricordi.  Nessuno li stava a sentire e allora, l'idea di buttare giù un palazzo gli era sembrata grandiosa.
"Finiremo nel burrone e moriremo. Quando arriveranno i soccorsi,  ci riconosceranno dai pezzetti, da quello che rimarrà." dice il socio, con le pupille dilatate come una padella.
Ho il magone piazzato in gola e sento il vento che accarezza le portiere e che presto, con l'arrivo del buio, si farà forte e allora niente potrà rimandare la fine. Ci sono certe situazioni che non hanno via d'uscita e noi, la nostra lotta e il nostro futuro, ci eravamo ficcati in fondo a un vicolo cieco. 
"Ci sono certe situazioni dove l'unica soluzione è sparire." mi dice mentre un barlume di saggezza l'attraversa come le acque placide di un grande fiume. "Ci sono certe situazioni, dove le cose sono tutte a posto, e se quelle cose sono un burrone e quattrocento chili di tritolo, sparire è facile. Ti va di sparire?" 
Potrei farlo. Potrei lasciarlo seduto con le sue ossa rotte, spalancare la portiera e buttarmi nel prato, aggrapparmi con le unghie nella terra e risalire il pendio fino alla strada. Darei uno sguardo ai segni delle gomme che la sterzata disperata ha impresso sull'asfalto e me ne andrei via. Ma il carico di tritolo esploderebbe e da lì a qualche minuto un elicottero sorvolerebbe la mia testa e dopo poco sarei nella stanza degli interrogatori, con una lampada piazzata negli occhi e lo sbirro cattivo pronto a infilarmi un sacchetto di nylon in testa.
Ho le idee confuse ma temo che il piano del mio socio preveda un botto molto vicino al suo sedere e un cucchiaino per raccogliere quello che rimarrebbe di lui. 
Ora la carrozzeria non cigola, piange: gne...gne...gne. 
Sembra un neonato con la fame che gli morde lo stomaco, uno dei tanti che finiscono col morire. 
Conosco il posto e so che sotto il furgone c'è un salto di trecento metri e roccia e sassi grandi come camper e piante grasse piene di aculei che finirebbero il lavoro.
"Lasciami dei pezzetti." E quando lo dice, pare che la botta di cocaina sia stata messa in disparte da una volontà superiore. Ora il sangue cola sopra il mento e sul collo. Si è formato un laghetto nella concavità fra la scapola e la spalla e un livido color vinaccia si è esteso fino allo sterno e l'aria che sale dal precipizio s'infila nelle bocchette di aerazione e arriva fredda come un fantasma. 
Insiste. Ha visto spegnersi la luce nei miei occhi e un sudario grigio è calato sul viso. Adesso sono un libro aperto. "Lasciami dei pezzetti."
Perché io posso sparire, aprire la porta e saltare fuori e lo so, il mio movimento sarebbe sufficiente ad alterare il labile equilibrio che tiene su il furgone ma l'ho già detto, sarebbe una libertà breve, inutile.
"Salterà in aria tutto e lo sai che ti cercheranno vivo se non troveranno almeno un tuo pezzetto. Se invece troveranno qualcosa di te, non ti cercheranno e tu avrai tutto il tempo di nasconderti, fino a quando il mondo si sarà dimenticato della tua faccia, e di sparire. Quale migliore occasione per rifarsi una vita, per filare via da questa merda: SPARIRE."
Gioco con i miei capelli. Li ho lasciati crescere insieme alla barba ma so che non basterà tagliarne qualche ciocca. Ne troveranno alcuni, qua e là e tutti bruciacchiati ma non ci cascheranno. Il mio socio sfila il coltello dalla tasca e la lama schizza fuori con uno scatto repentino. " Almeno un dito e un pezzetto di carne." 
"Che...che cosa?"
"Scegli tu." e nelle mie orecchie si materializza quel rumore che non avrei mai voluto sentire: zac...zac...zac. 
Sparire è l'occasione più grande ma questa volta, i tagli, sono tutt'altro che metaforici. Vorrei che tutti lo potessero fare: scegliere qualcosa a cui si può rinunciare e poi volatilizzarsi, ma la vita non è così magnanima e qualche volta ti accende i riflettori addosso quando tu non vorresti nemmeno esistere, ti cerca nei cantucci e ti stana come il gas nelle buche. Tiro su una botta di coca che vale un'anestesia e poi taglio.
È pelle, è carne, è una luce accecante che si materializza nella testa, è una salita di serpenti velenosi che si attorcigliano e affondano i denti.  È un coro di mille demoni. Sono ossa. Sono pezzetti che devo lasciare in pasto al tritolo. Alla fine, sembreranno bistecche dimenticate sulla griglia ma inganneranno gli investigatori.
Morto. Fatto a pezzetti dall'esplosivo che lui stesso avrebbe dovuto piazzare sotto un grosso palazzo. Giustizia è fatta.
Mi butterò di fuori, correrò fino al bosco e a metà del tragittò sentirò esplodere il furgone, e mille pezzetti di carrozzeria, e del mio socio e miei, precipiteranno dappertutto, per la terra, per le formiche, per i laboratori della polizia. Tanti piccoli sacchetti come quando si esce dalla macelleria.  E finirò di piangere e di sanguinare, con calma, sotto il primo cespuglio che incontrerà la mia fuga.
In fondo, qualsiasi cosa si decida di fare, si lasciano indietro tanti pezzetti.

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