martedì 27 aprile 2021

Non arriveranno mai






Claudio fa un gesto volgare, quello semplice da mettere in pratica e buono per tutte le occasioni.  
Chiude un occhio e il grattacielo bianco scompare dietro al dito. Non ha mai sopportato quel palazzo che somiglia a un frigorifero, e come dargli torto. Sembra precipitato da una galassia lontana in mezzo a una distesa di edifici bassi e rovina l'armonia cercata in anni di storia da architetti felici. Il resto della città tremola sotto la canicola del pomeriggio e le prime due bottiglie di birra sono finite. L'ombra del platano, da sola,  non basta  a raffreddare le sbarre in ghisa della panchina. 
“Non arriveranno mai.” dice, mentre si china per trascinare la borsa termica. Appena aperta, l'odore dei panini con il salame s'intrufola dritto nelle narici e ne approfitto per infilare la mano sopra quello più grande. È avviluppato dentro un involto di stagnola e c'è da giurarci: quando lo aprirò lo vedranno brillare laggiù, dalle vie del centro, dai ponti sul Po e dai parchi. Provocherò panico, è sicuro, molti si metteranno a correre e travolgeranno i meno fortunati come una mandria di bufali impazziti. Ribatto solo dopo che il tappo della Heineken è saltato via e ha rotolato per qualche metro in discesa prima di infilarsi nel tombino. “Per me arriveranno, invece.”
È stato così sempre. Che si parli di calcio o di donne, Claudio non  considera l'ipotesi di avere torto. Alza la voce senza accorgersene e guadagna qualche centimetro di panchina per intimidirmi.
“Dovresti leggere meno libri e pedalare di più. Non si tiene mezzo mondo sotto il tacco se non sei capace, e se sei capace meriti comunque rispetto, almeno su questa terra.”
“Quale rispetto? A me fanno schifo.”
“Non sono io a dettare le regole ma a quanto pare, in questo gioco, su questo tavolo e con questi giocatori, vincono e vinceranno sempre.” gli occhi verde smeraldo sono quelli di chi chiede una tregua armata e dicono molto di più delle rare parole, centellinate come un whisky di quelli speciali. Mi molla una pacca sulla spalla e chiarisce. “Non ci godo eh! È solo pragmatismo il mio.”
E invece a me salgono gli acidi su per la gola e rimedio con un morso al panino. Il salame Milano è sistemato in numerosi strati che il burro rende facili da addomesticare. Per il poco tempo avuto a disposizione, si può parlare di grande cucina o dell'ultimo miracolo. Il primo boccone va giù quasi intero, con un sorso di birra che lo insegue e ricaccia indietro il rigurgito di stomaco. Il secondo, me lo godo: mi calma come una carezza  e chiudo gli occhi per pensare a qualcosa di bello. 
L'oceano, per esempio. 
Io e Claudio eravamo stati abbastanza bravi e fortunati da cavalcare l'onda, dal principio alla fine della spiaggia, mentre Katy ed Eleanor correvano scalze per inseguire i nostri surf. Erano arrivate solo qualche secondo dopo, quando i muscoli eccitati dal mare tiravano come vele nel vento e i pantaloncini bagnati aderivano a tutta la nostra voglia di vivere. Eravamo noi, i vulcani di Maui che sembravano pronti a esplodere e le due meraviglie. 
Katy portava un costume celeste, talmente ridotto ai minimi termini che se l'avesse pagato a centimetri quadrati, sarebbe venuta via con l'articolo spendendo meno di mezzo dollaro. Eleanor aveva scelto un rosso tendente all'amaranto, con il reggiseno capace di sostenere l'abbondanza solo grazie all'elegante abbinamento di cordini bianchi che s'incrociavano sulla schiena abbronzata.
Quella sera avevamo mangiato in un ristorante sulla spiaggia. Mentre il tramonto incendiava il mare, il cuoco cucinava pesce sopra delle grosse pietre sul terrazzo e proponeva di annaffiare la cena con un bianco francese che sapeva di frutta o con certi vini dalle colline della California. I clienti arrivavano alla spicciolata mentre una band di cappelloni in camicia hawaiana eseguiva un repertorio surf rock che spaziava dai Surfaris fino ai Venture, e passando dai Beach Boys. L'arrangiamento di Sloop  Jonnb B, ricordo, era stato ipnotico:
Call for the Captain ashore
Let me go home, let me go home
I want to go home, yeah yeah
Ma certo non volevo tornare a casa, e nemmeno Claudio. 
Le nostre due amiche avevano ancora tanto da darci e non solo moralmente. 
Katy mi aveva tenuto sveglio fino al mattino e mentre tentavo di recuperare qualche ora di sonno, mi aveva sussurrato nelle orecchie tutte le canzoni che si ricordava. Veniva da New Orleans, Louisiana. Ricordo, diceva di preferire le onde enormi del Pacifico alle acque chete e melmose del Mississippi che s'insinuano nelle paludi per fare nuotare i coccodrilli. Era per quello, e perché odiava le zanzare, che passava tre mesi all'anno sulle spiagge intorno a Kahului e che per non farsi prendere dalla nostalgia aveva imparato a memoria tutto il repertorio di Fats Domino e si era addormentata anche lei mentre si sforzava di ricordare la seconda strofa di Blue Monday
Sunday mornin' my head is bad
But it's worth it for the time that I had
But I've got to get my rest...
Claudio sa leggermi nel pensiero. “Stai pensando a Katy?”
Chiudo gli occhi e la immagino seduta sulla spiaggia a scrutare il cielo, ma nel bel mezzo della notte. Sono sicuro che Eleanor sia con lei ad aspettare. “E tu stai pensando e Eleanor?”
“Sto pensando che è parte di quel sistema e che pur essendo una goccia nel mare, forse avrebbe potuto fare di più.”
“Perché non sono tutti così e non si meritano di essere ricordati come quelli che...”
Qualcosa esplode giù in città. 
Mortaretti, colpi di pistola o lacrimogeni della polizia. Non lo so ma il mio sedere sudato sobbalza sulla panchina. Le autorità non ammettono disordini perché loro la pensano esattamente come Claudio: non arriveranno mai. A giudicare dalla colonna di fumo che si solleva dal crocevia possono solo essere velenosi lacrimogeni. I telegiornali hanno cercato di rassicurare in ogni modo ma ormai tutti hanno imparato a capire quante balle raccontano. Negli anni si sono specializzati a leggere, recitando, qualsiasi comunicato e i loro erano del tutto simili al pensiero del mio amico:
- Non arriveranno mai -
Claudio si scola l'ultimo sorso della bottiglia e la butta oltre la siepe. La sentiamo infrangersi sull'asfalto del tornante e via, il tempo di formulare un pensiero ed eccolo con la schiena china a rovistare nella borsa. 
“Il bicchiere della staffa?” domanda agitando le ultime due bionde con la condensa del freddo sul vetro. Ho le gambe molli e un lieve mal di testa ma non mi tiro indietro. 
Uno stormo di aerei  militari sorvola le case con un boato e vira improvvisamente incontro al sole. La domanda arriva quando il rumore non si è ancora del tutto attenuato.
“Ti ricordi di Paul?”
Era il fratello di Eleanor, un ragazzo poco più che ventenne, bello come il sole della sua terra e coperto di tatuaggi che sembrava la volta affrescata di una cupola. Il mattino consegnava pacchi volando in Vespa da una parte all'altra dell'isola. Il pomeriggio e la sera girava cortometraggi, ingaggiando amiche e amici come attori. Conosceva musicisti che si prestavano per le colonne sonore e anche cantanti pronti a esibirsi per lui. La sera montava e da un giorno all'altro proponeva spettacoli sempre nuovi che proiettava, appena fatto buio, nel cortile sul retro di casa. 
“Già, Paul. Aveva un talento enorme per il cinema.” e la prima lacrima del pomeriggio è per lui, per quel suo primo corto che aveva meritato applausi al Sundance e un discreto successo di pubblico. 
Era morto l'anno dopo, con i polmoni tagliuzzati dalle sue stesse costole, travolto da una nonna al volante di una Prius bianca. Aveva bruciato il semaforo per non fare tardi al compleanno del nipotino e i pacchi da consegnare erano finiti sparpagliati sull'asfalto per decine di metri assieme ai pezzi dello scooter. “Sarebbe stato il migliore per filmare tutto, per documentare."
Solo che lui era l'attore protagonista e la morte era vera, come quando un proiettile aveva ucciso Brandon Lee sul set. Niente materassi e scatoloni per cadere, salsa di pomodoro e tanto mestiere. Solo cuori che smettevano di battere.
“Tanto non arriveranno mai!” commenta Claudio, che con Paul aveva avuto un rapporto di amicizia vera. Gli era sembrato incredibile che non fosse geloso di sua sorella e gli era sembrato altrettanto incredibile che un ragazzo così giovane potesse conoscere a memoria la storia del cinema.
Il Dottor Stranamore. 
Ne parlava spesso, specie quando strimpellava la sua Taylor davanti al fuoco mentre le onde dell'oceano si trasformavano in schiuma sulla sabbia bagnata. Il Dottor Stranamore cavalcava un missile atomico per arrivare con lui sul bersaglio ed era la metafora di una folle corsa che non si sarebbe fermata mai e il simbolo fallico per antonomasia.

Un banco di nuvole modera il sole che l'estate ha piazzato più in alto possibile ed ecco un altro stormo di aeroplani. Volano secondo una formazione disordinata e gli ultimi due sembrano attardati come i cuccioli più deboli del branco. Il boato dei motori copre le grida di terrore che sembrano salire dalla città e che io immagino uscire dalle gole arse dal caldo. Chi si rifugia nelle cantine, chi cerca scampo in campagna ma la tangenziale si è messa di traverso, dispettosa, e adesso è solo un serpente di fumo, bestemmie e carrozzerie roventi che baluginano nell'orizzonte. Qualcuno è stato sistemato al sicuro sotto cinquanta metri di roccia ma sono pochi e sono ricchi e importanti. 
“Alla fine di tutto saranno ancora pochi, ma non più ricchi e nemmeno importanti.” ragiono a voce alta mentre Claudio si gode il panino con le briciole impigliate tra i baffi. È monotono come un disco incantato:
“Non arriveranno mai.” e quasi mi dispiace di averlo disturbato mentre mastica, di avere rischiato di farlo strangolare.

E invece arrivano. Da est.

Stelle comete, meteoriti, lunghe scie di fumo che affettano il cielo e vanno lontane, verso sud. 
La prima scompare dietro alle montagne ed è lì che Claudio, deluso, sputa il boccone per non strozzarsi. L'attesa è interminabile e ancora una volta crede fermamente nel suo dio e indica quel posto non meglio definito dietro le creste e si ripete:
“Non arriveranno mai!”
E io vorrei credergli, sperare di non essere come uno zolfanello prima che qualcuno lo strofini sulla carta vetrata o come una goccia d'acqua che sta per cadere sulla piastra della stufa. Ho la voce che sa di tomba e parlo con il fiato che esce a fatica attraverso la gola contratta nel terrore. “Sono i nostri. Li stanno intercettando, vedrai, e non arriveranno...”
La luce è più intensa del sole che la guarda da lassù e Claudio non è più abbronzato come al solito. È come una radiografia pigramente adagiata sulla lavagna luminosa dell'ambulatorio e i suoi occhi verde smeraldo sono un paio di cristalli trasparenti e le montagne: come appaiono piccole al confronto di quella palla di fuoco!
Sono arrivati.
Claudio si affretta a finire la birra e io cammino avanti e indietro. Assomiglio all'orsetto del tiro a segno che si sbatte per non essere centrato ma sa benissimo che il suo spazio per la fuga è ridotto a una rotaia con il fine corsa imminente e il cielo è pieno di brutte notizie. L'ultima arriva assieme al boato della prima esplosione che si è preso il tempo che serviva per attraversare mezza regione, e cade molto più vicina.
Questa volta non ci sono le montagne a dominare il vento e dopo il lampo, che mi attraversa le mani pigiate sugli occhi, arriva il rumore di mille treni che corrono incontro, di continenti che rotolano sui sassi, di grida di dolore e disperazione, del mondo che si rovescia con tutto quello che c'è dentro.
E poi il vento. 
È caldo come una fornace e corre come un cavallo spaventato e ci spinge via come foglie secche nella tempesta, fino sul prato e fino al selciato che stende ai piedi della basilica. I fedeli che si erano riuniti a pregare, sono stati sdraiati come fa la falce con l'erba alta.
Sanguino, respiro veleno. La tosse parte dai polmoni e mi scuote. Sento dolore ovunque. Mi sembra di masticare la sabbia ai piedi del vulcano e penso a Maui, al surf, alle bevute sulla spiaggia mentre un fuoco amico accarezza la nostra voglia d'amore. A Katy. 
Addio, Katy. 
Addio Eleanor, addio Hawaii. La parte buona di quel popolo meraviglioso si piega al volere di pochi pazzi e niente più ristoranti sulla spiaggia, concerti rock, film, attori, cantanti e cascatori. Niente più chitarre da abbracciare e fare tue come la compagna di una notte. 
Niente più fuochi davanti al mare. 
Le vetrate della basilica esplodono e volano via le lastre della cupola. Sembra che un grosso frullatore stia preparando qualcosa da bere. Si spalanca il portale e alla fine la pressione fa collassare i muri. Si gonfiano come le guance di un bambino maleducato che sta per fare una pernacchia e le colonne traballano e le lastre di marmo si staccano e si spezzano le guglie. La pianura è la pista da corsa di venti a mille chilometri orari e le fiamme si sono sostituite ai boschi. L'acqua del Po riflette il colore cinereo del cielo.
“Non arriveranno mai.”
Mi consola Claudio mentre il sangue gli bolle in bocca. 
Non è stato abbastanza svelto nel proteggersi gli occhi e ora è cieco. Niente più verde smeraldo, solo una patina bianca e lattiginosa che assomiglia a un'ustione. La cosa buffa, è che le briciole di pane sono tuttora incastrate fra i baffi e arrostite come una pizza dimenticata nel forno.
Ci abbracciamo e sì, ammetto che ha ragione.
L'inferno si è scatenato tutto intorno ma la città è stata risparmiata. 
Il tetti sono denudati dalle tegole e ridotti a scheletri, si alzano colonne di fumo dove sono esplosi i depositi di gas e le strade sono allagate. Alla fine, la cartolina che spettava a noi, non è stata recapitata, intercettata da qualche missile che i nostri alleati hanno fatto in tempo a lanciare. L'aria puzza di ferro da stiro e le grida in sottofondo sono quelle che Dante doveva avere immaginato per uno dei gironi più in basso. Mi lascio cadere nel prato e guardo le nuvole rimescolate dal vento mortale.

Il suono gutturale di un grosso bombardiere s'insinua nelle orecchie come la vibrazione di un telefono e una sagoma nera che appare come un insetto sul vetro si muove lenta davanti a quattro scie di condensa lunghe e grasse. Fra poco sarà esattamente sul centro della città, sulla verticale di quel grattacielo che Claudio odia tanto e che non potrà più vedere.
Voglio credere che sia amico.
Voglio credere che non stia portando un pacco a sorpresa proprio per noi. 
Voglio credere che non arriveranno mai.

Nessun commento:

Posta un commento