venerdì 18 marzo 2022

Eva

 





Il prato andrebbe tosato. 
È vero, l'erba è ancora verde come al principio della primavera ma le corse di Claude dietro il pallone e ancora peggio, le capriole di Argo che vuole liberarsi di quell'unica pulce che resiste all'insetticida, hanno formato tante chiazze sparse un po' ovunque, che a seconda dello stato d'animo ricordano il mantello di un leopardo o la vitiligine. 
Claude si chiama così perché Anna si era innamorata di un dipinto di Monet: Lo stagno delle Ninfee. Anni prima l'aveva visto nella mostra virtuale del museo d' Orsay ed era stata rapita. I colori, l'armonia, i fiori e le piante intorno al ruscello che si specchiavano sulla superficie dell'acqua e quel senso di fresco che la tela riusciva a trasmettere. A teatro avrebbero parlato di venti minuti di applausi, nel ventre di una cattedrale della sindrome di Stendhal e allo stadio, di una bolgia infernale. Anna aveva indagato sull'autore e aveva capito che quel Claude Monet era stato testimone in terra della magia, che padroneggiava la luce come pochi altri al mondo. 
Suo figlio si sarebbe chiamato come lui anche se Tony avrebbe voluto chiamarlo Cristiano, come quel calciatore tutto muscoli, tecnica e potenza che tanti anni prima aveva frantumato i record e segnato gol bellissimi un po' dappertutto. 
Il pallone rimbalza nel prato e contro il muro di casa, Claude lo rincorre, qualche volta lo colpisce di testa spedendolo in aria, altre lo rinvia come un difensore sotto pressione. Argo cerca di soffiarglielo e Tony aveva ragione: Cristiano sarebbe stato più adatto.
La domenica si resta a letto fino a tardi anche se il pallone esercita sul bambino un'attrazione pari alla forza del buco nero nel centro della galassia e lui non resiste. Ha solo cinque anni ma si è svegliato prima di tutti e ha cominciato a galoppare avanti e indietro attraverso quel grande giardino. Assume come pali la coppia di olmi accanto all'oleandro fiorito e all'acero rosso e prima della piscina a forma di virgola, e prova le traiettorie. 
Argo non è sempre così abile nel deviare i tiri con la punta del naso e anzi, qualche volta i suoi tuffi sono del tutto fuori misura. Del resto è un Golden Retriver bianco con una tentazione di nocciola sui fianchi, buono per le coccole davanti al caminetto o al massimo per riportare le prede al cacciatore, un po' meno per improvvisarsi portiere. 
“Che si fa, amore, ci alziamo?”
Anna si sente stropicciata come l'asciugamano alla fine della centrifuga. Stira le braccia fino a quando i polsi cozzano contro la testiera del letto e poi li piega e intreccia le dita. La stessa cosa succede con le lunghe gambe che spuntano dal fondo del lenzuolo e gli alluci che finiscono con l'incastrarsi uno con l'altro.  “Ancora dieci minuti.”
“Ancora dieci minuti nel senso di seicento secondi o ancora dieci minuti nel senso che vuoi la replica dello spettacolo di stanotte?”
Anna fa una smorfia. Stringe le labbra a forma di bacio e finge di pensare ruotando gli occhi in su. “Dicevo...dieci minuti nel senso di un bel caffè, caldo, molto zuccherato e macchiato latte.”
Tony è deluso: è un peccato buttare carbone in caldaia e poi fermare la locomotiva e invece Anna si è già dimenticata e guarda loro figlio in giardino. 
Palleggia sotto il sole e ha i capelli sudati che si appiccicano alla fronte. Non è elegante anzi, è un po' sgraziato e qualche volta sembra sul punto di inciampare. Deve ancora imparare a gestire il peso sul piede d'appoggio e il pallone dispettoso scappa via come se avesse gli spigoli. Argo, invece, si è stancato del calcio e provvede alla toilette intima circondato da un terzetto di curiose farfalle bianche.  
Anna sorride. Aveva desiderato così tanto quella grande finestra sul giardino che ancora non le sembra vero. 
Al principio, Tony non era d'accordo. I quattro metri di larghezza per i quasi tre di altezza sarebbero costati come una mensilità del suo stipendio, quando le rate della casa erano ancora da pagare e nei mesi pari le bollette reclamavano la loro parte. Ma Anna è ancora troppo giovane per non infischiarsene dei problemi e Tony ha un posto fisso che scatena le invidie di mezza città.
Non si sono pentiti.  
Da allora non esistono segreti per le notti piene di stelle, per i cieli saturi di azzurro e le giornate di pioggia con gli uccelli riparati sotto le foglie, infreddoliti e pazienti in attesa che torni il sole. Qualche volta la nebbia si scontra con la finestra e lascia tante minuscole goccioline sulla sua superficie, che finiscono col colare in rivoli paralleli che ricordano i graffi del gatto. Quando c'è la neve, e quando ne cade abbastanza da superare il pannello, un muro bianco e algido si adagia sul vetro fino a che la notte lo trasforma in ghiaccio.
“Caldo, molto zucchero e macchiato latte?” chiede Tony che farebbe bene a radersi dopo tre giorni di pigrizia.
“E lungo, nel tazzone del tè come fanno gli americani.” aggiunge lei.
“Sei sicura?”
“Oh sì, amore!”
“Mi piaci quando prendi la situazione per le palle!”
“Cosa potrei fare, Tony? La vita esige decisioni forti è il caffè bello abbondante è una scelta che richiede carattere.”
“Eva sarà d'accordo?”
“Le conviene, altrimenti le stacco la corrente...”
Tony sbuffa. I capricci di sua moglie sono sempre diversi, imprevedibili e pericolosi come la candela con la polvere da sparo. Passa la mano fra i capelli per rinfrescare la zazzera, sistema il cuscino e si  mette seduto sul letto. “Eva...”
“Buongiorno Tony, come va?”
“Oh, è una splendida giornata!”
“Hai detto giusto, Tony, trentun gradi con l'ottanta per cento di umidità dell'aria. La massima prevista per quest'oggi è di trentasei gradi, che sarà raggiunta intorno alle diciassette e otto minuti.”
“Grazie, Eva. Avrai sentito cosa ha detto Anna e quindi sei dell'umore giusto per preparare un caffè?”
“Oggi ricorre Santa Caterina da Siena ed è il penultimo giorno del mese di aprile, il centodiciannovesimo del calendario gregoriano Nel 2005 la Apple iniziava la distribuzione del suo Mac OS X Tiger.”
Anna soffoca la risata con fatica. “Grazie di tutto, Eva. Saresti tanto gentile da prepararmi quel caffè che Tony ti ha chiesto prima?”
Il robot si sgancia dal suo supporto per la ricarica, scende una breve rampa e percorre un metro del grande living con il suo solito, leggerissimo ronzio. È un modello economico ma funziona assai bene. Anche se ricorda vagamente C1-P8 di Guerre Stellari, è molto più alto e aggraziato. Consuma poco, ha una bella voce femminile, lontana dal sembrare artificiale e priva di echi di metallici, i suoi utensili si inceppano difficilmente e soprattutto gestisce wireless l'intera domotica. Anna e Tony l'avevano scelto di un bel verde intenso perché ricordava l'acqua e menta, aveva detto lei, anche se lui avrebbe preferito il modello arancione Olanda Mondiali di Argentina 1978, che evocava i cocktail alla frutta del bar di Luana. 
Eva ordina alle luci della cucina di accendersi e impone al condizionatore di mantenere costante la temperatura interna di ventiquattro gradi. La macchina del caffè prende vita dietro al suo impulso, alterna qualche led luminoso con una barra di caricamento di un rassicurante blu discoteca a un rumore meccanico e comincia a macinare i chicchi.
“Coffea Canephora, altrimenti detta “Robusta”, originaria dell'Africa nella fascia compresa fra i tropici, resistente a parassiti, escursioni termiche importanti e siccità. È ricco di caffeina e...”
Tony interrompe. Le informazioni didascaliche del robot domestico vanno bene sempre ma non quando Anna ha il buco nello stomaco. “Ti metti al lavoro, Eva o ti devo portare dall'elettricista?”
Eva ruota di mezzo giro la testa o meglio, quel coperchio arrotondato come una cupola che lei rivolge al muro quando si sente offesa. Proietta sulle pianelle della cucina una faccia rabbuiata che appartiene al repertorio delle sue espressioni umane. Questa volta è Leonard palla di lardo, seduto sul cesso della base militare di Parris Island e pronto a sparare un bel proiettile blindato nel petto del sergente Hartman. Sa che Anna odia quel vecchio film in modo viscerale e quella scena in particolare ma non è finito. Per dispetto mette della musica. Anna e Tony si irritano all'idea di ascoltare il rock di altri tempi, rumoroso come un convoglio merci sulle rotaie arrugginite e allora fa partire Danger on the tracks degli Europe, solo per indispettirli. Suona così forte che sembra di sentire l'enorme finestra che vibra. Tony è autoritario, urla al punto di passare sopra la musica e arrossisce in viso.
“Eva, spegni immediatamente quel baccano!”
Obbedisce. È pur sempre un robot, dotato di carattere e qualche volta indisponente ma all'interno del suo processore sono installate le tre leggi di Asimov sulla robotica:
Un robot non può recar danno a un essere umano né può permettere che, a causa del suo mancato intervento, un essere umano riceva danno.
Un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, purché tali ordini non vadano in contrasto alla Prima Legge.
Un robot deve proteggere la propria esistenza, purché la salvaguardia di essa non contrasti con la Prima o con la Seconda Legge.
Il silenzio piomba nel grosso monolocale mentre le orecchie sono ancora  inquinate dagli acufeni e dal leggero fruscio della testa meccanica. La faccia da guerra di Leonard palla di lardo si scolorisce gradualmente fino a scomparire, si spegne il laser e spunta il braccio meccanico polifunzionale progettato per le faccende domestiche.
“Caldo, molto zucchero e macchiato latte, dicevi?”
Anna si alza dal letto Indossa solo una sottoveste trasparente. Anche se può sembrare assurdo, si vergogna ad apparire quasi nuda di fronte a Eva.  Nell'armadio a muro c'è una vestaglia di un bel rosso intenso. La indossa e si gira mentre allaccia la cintura. “Non caldo, Eva, bollente!”
Eva si mette al lavoro, prende dalla dispensa lo zucchero e la tazza preferita di Anna. Il cartone del latte è nel frigo, ancora da aprire. Nel frattempo la macchina del caffè si configura automaticamente. Tony si chiude in bagno e dopo poco  si sente partire il rasoio elettrico.
Claude ha smesso di giocare a pallone. 
È seduto nell'erba del grosso giardino e sta accarezzando Argo, che con la pancia all'aria sembra gradire. Complice il sole ormai alto e un vento lieve e caldo, i capelli del bambino si sono asciugati e già si apprezza un timido rossore che presto si trasformerà in abbronzatura. Anna cammina incontro alla finestra e il suo cuore è gonfio d'amore. Aveva atteso quel bambino tanto a lungo e finalmente, quando era arrivato, si era sentita realizzata, completa. Un figlio da crescere nel rispetto dei valori che lei e Tony ritengono importanti, nella buona educazione, cortesia, empatia e amore. Claude deve diventare un uomo colto, gentile e incapace di alzare la voce. Ora è tornato a correre: si nasconde dietro ai tronchi degli alberi, gira intorno alla piscina e inganna Argo, che lo insegue ma casca sistematicamente nelle finte del bambino. Gli fa credere che sarebbe andato a destra per poi scartare dalla parte opposta in modo repentino. Sono così teneri che la Capinera appollaiata sul ramo non li teme, anzi, muove la testa come divertita dalle loro evoluzioni e l'erba, chi se ne importa, sarà nuovamente seminata e annaffiata fino a quando non crescerà ancora più folta. 
Quando Eva le porge la tazza, Anna è commossa. 
La corsa intorno alla piscina diventa frenetica e Claude perde vantaggio. Argo ha imparato la strategia del bambino e non si beve più i suoi inganni. Mentre Anna, davanti alla grossa finestra, rimescola lo zucchero e aspira l'odore forte del caffè, il cane è così vicino al bambino che potrebbe azzannarlo e allora lui si tuffa. Dalla piscina si sollevano gli stessi spruzzi che sarebbe capace di causare un capodoglio giocherellone: un trionfo di gioia, entusiasmo e voglia di vivere. Argo al principio sembra spiazzato. Saltella, scodinzola, si siede e si alza. Si mette su due zampe per restarci qualche secondo con la lingua a penzoloni e la sensazione che stia ridendo. Nonostante la gioia sembri incontenibile, non ha il coraggio di tuffarsi a sua volta. È in quel momento che Anna si accorge di Tony. È vestito, si è appena rasato e profuma di quel dopobarba che le piace tanto. Mentre Eva asciuga il pavimento in bagno, Tony l'abbraccia e appoggia la guancia glabra ai suoi capelli. Anna lascia andare la testa incontro alla sua. Tony sa leggere i momenti e giurerebbe che sua moglie sarebbe felice di ascoltare qualcosa  di classico.
“Eva...”
Il robot si sporge dalla porta del bagno con un dispenser di Vetril stretto nella pinza e il panno per pulire lo specchio che ruota nell'altra. “Dimmi, Tony...”
Mi trovi una versione per orchestra della Serenata di Schubert?”
“Ma certo...Tuttavia sconsiglierei la maggior parte delle esecuzioni che sono un po' decadute nella qualità dell'audio. Sai Tony, il tempo passa  per gli uomini e anche per la musica non c'è pietà...”
Tony scosta i capelli di Anna e la bacia sul collo. Non gli importa se lo scarso tatto del loro robot domestico sia come minimo da configurare. “Mi affido alla tua competenza, Eva.”
Parte una versione per pianoforte solo, che li circonda come una carezza. L'alta fedeltà è tale che si sente vibrare il legno dello strumento ed Eva è stata brava nel scegliere l'equalizzazione perfetta e nel calibrare il surround, e loro si lasciano andare. Il tappeto davanti alla finestra è morbido e pulito, lei è calda e accogliente come sempre. È tonica nei posti giusti, morbida e cedevole dove deve. La finta resistenza che oppone all'inizio vale solo per onor di firma e pazienza se il caffè non è stato bevuto interamente. Anna fa in tempo ad allargare il braccio per posare la tazza un po' più in là, lontano dell'epicentro dell'esplosione che di li a poco porterà luce nella stanza.  Eva, intanto, finisce di pulire lo specchio. 
Claude è rimasto in mutande, con i capelli appiccicati alla testa e rivolo d'acqua della piscina che gli cola dal naso. Ha appeso i suoi vestiti bagnati  in giardino: la maglietta che piega il tenero ramo dell'oleandro e i pantaloni zuppi a un moncone della potatura dell'acero. 
Sta prendendo il sole per asciugare. 
Una coppia di rondini  è venuta a tenere compagnia alla capinera curiosa.
La tazza si rovescia sul tappeto. 
È difficile credere che i pochi cucchiaini di caffè rimasti sul fondo possano trasformarsi in una macchia tanto larga e apparentemente definitiva. Si espande ancora assieme a quell'aroma di  Coffea Canephora che Eva avrebbe definito di gelsomino con sentore di limone. La cosa si interrompe: fine della poesia, dell'accecante fungo atomico, della passione. 
Anna si mette alla ricerca della sua vestaglia volata chissà dove. Tony si limita a sollevare i pantaloni. Il guaio è fatto e i sensori di Eva hanno già captato l'odore sbagliato, quello del caffè frammisto al cotone. Esce dal bagno e punta il suo monocolo in direzione del disastro. Lascia cadere il dispenser del Vetril, che perde il tappo rovesciando in terra metà del contenuto che si trasforma in schiuma biancastra e ritira l'utensile rotante per la pulizia che immediatamente sostituisce con la pinza multiuso. Attraversa tutto il monolocale accelerando come il treno della metro e arriva al loro cospetto in meno di un secondo. La diagnosi è impietosa:
“L'avete combinata grossa! Se vogliamo salvare il tappeto occorre un lavaggio a sessanta gradi e un doppio risciacquo in acqua fredda.” la pinza si allunga abbastanza per raccogliere il tappeto. Il caffè lo ha attraversato e si è come raggrumato sul pavimento. “Potremo farcela, se solo fossimo abbastanza veloci da lavarlo subito.”
Tony si sente in colpa. Dopotutto avrebbe potuto aspettare che Anna finisse il suo caffè o al limite portarla in braccio fino al lettone. Vergognandosi guarda fuori. Claude si è rivestito è sta soffiando via i petali di un tarassaco. Argo dormicchia acciambellato all'ombra degli olmi. 
Eva è risentita. Stronca l'esecuzione di Once upon a time in Paris, di Erik Satie e guarda tutti e due ruotando la cupola da destra a sinistra. Per l'imbarazzo, Anna mette una gamba davanti all'altra e le incrocia. Il monocolo di Eva la squadra da testa a piedi. Dopo tocca a Tony che ha già il sentore di quello che gli dirà il robot domestico. I piedi scalzi non gli fanno onore e nemmeno il petto nudo o i capelli spettinati.
“Abbiamo finito l'acqua, signori...”
Il tappeto è spacciato. Il caffè seccherà fra le sue fibre e non andrà mai via. Anna azzarda un'ipotesi:
“Se usassimo le scorte?”
“Avete usato le scorte per la doccia di ieri sera e non mi sentirei autorizzata a rimproverarvi se non fosse la seconda delle ultime due settimane. Siete così prevedibili voi umani!”
Si guardano. Sanno che Eva ha ragione, che il contalitri collegato al suo software non mente e anzi, sanno che avrebbero dovuto scambiarsi quelle coccole con il rubinetto chiuso, rinunciando alla carezza calda e a quel vapore che li avvolgeva. Del resto lo stesso caffè lungo aveva intaccato il serbatoio in secca e oggi è domenica,  il giorno peggiore per rifornirsi. La domenica, qualche volta, ma anche nelle feste comandate o durante l'estate, le file per accedere al pozzo sono di chilometri e per riempire le cinque taniche da trenta litri ammesse dalla legge si deve aspettare ore, impedire che qualche prepotente passi davanti e che una banda di ladri attenda l'auto di ritorno dal rifornimento per rapinarla. Solo la settimana prima era stato ucciso un padre di famiglia.
“Non piove da tre mesi.” dice Anna trattenendo il magone in gola. “Altrimenti si sarebbe riempito il serbatoio sul tetto.” che quando era stato costruito non poteva superare i cento metri quadrati di superficie, non senza che fosse pagata una tassa straordinaria per loro insostenibile dopo il sacrificio per la grande finestra, e per crescere Claude.
Tony non si lamenta. Il pick up in garage ha già le taniche sterilizzate e caricate sul cassone. Si metterà in coda e attenderà il suo turno. Al diavolo i prepotenti e i maleducati. Per loro c'è una trentotto con il tamburo pieno. Per il caldo, per i trentasei gradi attesi nel pomeriggio, userà un ombrello che lo riparerà quando uscirà dall'abitacolo arroventato.
“Siamo stati degli stupidi, Tony, nelle notti durante la settimana si può fare rifornimento in meno di due ore.”
“Non è sempre così, amore. Nelle notti durante la settimana è pieno zeppo di delinquenti.”
Eva tace. Non vuole infierire, indietreggia di qualche metro e si gira. Il suo modulo di controllo comportamentale le impedisce di assistere alle sofferenze e alle discussioni degli umani quando non espressamente richiesto. 
Anna si lascia cadere sul bordo del letto, prende la testa fra le mani e piange. Preme con i palmi come se volesse farsi esplodere, purgarsi di tutto il dolore.
Era bambina quando l'acqua usciva a volontà dai rubinetti, quando le piogge si alternavano al sole e le sorgenti erano un bene a disposizione di tutti. Ricorda l'odore della terra bagnata, dei laghi, dei fiumi e delle cascate. Ricorda le lunghe giornate con le nuvole basse e pregne che si amalgamavano con i prati e le paludi e le rane e le lumache che in autunno tentavano di attraversare le strade bagnate. Ricorda le risaie allagate. Era bambina, come Claude ma non ha domenticato nulla di quell'epoca. 
Poi l'acqua si era rincarata, ogni mese e ogni settimana e infine ogni giorno. Il governo aveva rassicurato, al principio, poi fatto lunghi proclami e promesse vane. Alla fine ogni iniziativa veniva annunciata con un laconico comunicato letto da uno speaker con la faccia spenta e l'espressione da obitorio. Le fontane in strada erano state sigillate, le sorgenti racchiuse sotto sarcofaghi in cemento che ricordavano quello di Chernobyl e i fiumi e i torrenti deviati verso certi bacini che nessuno sapeva dove si trovassero. Le condotte erano grossi tubi blindati e posti sotto il controllo delle telecamere, e dei fucili. Era successo prima nelle grandi città, poi nei paesi del circondario e infine nella provincia più profonda. L'acqua, come il petrolio, arricchiva e dava potere a chi la possedeva.
L'acqua aveva tracciato il confine fra le epoche. 
Il cielo era diventato una patina biancastra attraversata dai raggi feroci di un sole impietoso e la terra si era screpolata come la crosta di una torta dimenticata in forno. Quando pioveva, lo faceva in qualche ora di autentico delirio e violenza e l'acqua, intere ondate nere e fangose che non si fermavano di fronte a nulla, trascinava sassi grandi come montagne, alberi sradicati, carcasse d'auto, immondizia, cadaveri e distruzione. Alla fine puzzava come una fogna a cieolo aperto. La prosperità delle piogge era ormai un concetto legato alle favole.
Tony prende le chiavi dell'auto, un paio di bibite in lattina per dissetarsi e si dirige verso il garage senza salutare. La rivoltella lo aspetta laggiù, sotto chiave all'interno di un cassetto. Salterà il pranzo, la cena e molto probabilmente anche la colazione del mattino dopo. Dovrà andare a lavorare con la pancia vuota.
Eva lo inquadra mentre secende le scale e si fa coraggio. Lentamente si avvicina a Anna per consolarla. Il suo percorso di apprendimento è stato molto influenzato dalla sensibilità femminile e Anna è una donna molto sensibile. Quando arriva accanto al letto attende qualche secondo sul fondo e poi si porta vicino a lei con qualche giro delle sue ruote gommate. Sa che il suo utensile multiuso non è morbido come una vera mano ma la carezza che porta al viso è leggera come il tocco di un angelo.  Anna accetta il conforto di quella staffa di titanio percorsa dai cavi e finge di nulla quando stringe il freddo snodo con i cuscinettia a sfera.
“Grazie.”
“Di nulla. Come stai?”
“Sto male razza di  macinino parlante. Dovresti capirlo da sola...”
“Potrebbe piovere fra due settimane, sai? Sono previste precipitazioni nella notte del quindici maggio, il centotrentacinquesimo giorno del calendario gregoriano, San Torquato. Il quindici maggio 1934, il Dipartimento della Giustizia degli Stati Uniti offre una lauta ricompensa a chi sarà capace di catturare...”
Anna la interrompe. “Eva, spegni la finestra...”
“...John Dillinger, il famigerato gangster sempre in compagnia del suo mitragliatore chiamato Tommy Gun...”
“Ho detto: Eva, spegni la finestra!”
Eva ruota la testa come se si vergognasse. Sembra un bambino pronto a scusarsi delle sue malefatte. “Ne sei sicura?”
“Spegni quella cazzo di finestra!”
È sufficiente un impulso e la grande finestra si spegne come lo schermo di un televisore e diventa  vetro trasparente. 
Fuori non c'è alcun prato lussureggiante, non ci sono la coppia di olmi, l'oleandro fiorito, l'acero, le farfalle festose e le rondini. Non c'è nessuna capinera. 
Si vede una polvere fine che il vento leggero muove in tanti piccoli vortici e pietre appuntite che affiorano dalla sabbia. La piscina esiste ma è asciutta, con il fondo in cemento ridotto a una raccolta di profonde crepe. Qualche pianta grassa e spinosa si è insediata sui bordi e fa ombra ai serpenti e alle lucertole.
Non c'è nessun bambino.
Claude è un programma, un pupazzo virtuale, un avatar costato più dell'imposta che avrebbe permesso loro di essere riforniti d'acqua da una cisterna con cadenza bisettimanale. Per l'ambientazione nel verde e per l'irrigazione virtuale del giardino, Anna e Tony hanno pagato un importante sovrapprezzo dopo il primo anno in omaggio. Eva non si scoraggia.
“Potrei riaccendere la finestra se solo tu volessi, Anna, e poi potrei proiettare l'ologramma di Claude proprio qui dentro, così, per consolarti...”
Anna guarda oltre il vetro. Il sole ha inaridito le montagne, seccato la valle, ucciso la terra e suo marito  è la fuori. È troppo preoccupata per pensare a quella sceneggiata. “Non adesso, Eva, sono stanca. Accenderemo la finestra questa sera.”
“È una buona idea. Ci sarà una magnifica luna!”
Anna si alza. Lascia il braccio meccanico e va incontro alla porta di uscita. Dovrà stare aperta per un breve periodo altrimenti il vento spingerà la polvere in casa. 
Eva non si rassegna. Non può sopportare che la sua padrona soffra tanto anche se ha ragione perché Tony, pistola o no, rischia davvero molto nel mettersi in coda per l'acqua alla domenica mattina. Molto spesso gli uomini liberi dagli impegni diventano belve senza cervello. Gli orari e le costrizioni rappresentano quella gabbia che li mette nelle condizioni di non mordere. Gli uomini adorano le gabbie.
“Anna...”
Si gira quando ha già la mano sulla maniglia. “Dimmi, Eva.”
“Con la legge 7 aprile 2052 numero 494 e successive modifiche e integrazioni, le coppie sposate da almeno cinque anni e  che abbiano ricevuto esito negativo alla prima domanda per un figlio vero, potranno ripresentarla con un solo, piccolo addebito fiscale...”
Anna era venuta a conoscenza di quella novità e ci aveva pensato. Ma un figlio vero (le tabelle ministeriali erano impietose) consuma troppa acqua e le tasse per poterlo crescere sarebbero aumentate fino a rendere la spesa insostenibile. A quel punto glielo avrebbero tolto.
“Grazie Eva, apprezzo molto il tuo impegno ma mi sono già informata.”
Apre la porta e un vento che ricorda il deserto penetra in casa assieme alle foglie secche che si sbriciolano sul pavimento. La spettina e il sole rovente aggredisce la pelle come una secchiata di acido. 
Non deve aspettare molto.
Argo entra in casa scodinzolando e le salta addosso posando le zampe sulle spalle. Lei lo abbraccia e dispensa un paio di vigorose pacche sulla schiena. Il pelo non è caldo perché la cuccia, sul retro, all'ombra della casa, è isolata abbastanza da garantirgli delle fresche dormite. Argo non sa che il software della grande finestra lo ha inserito come personaggio per le storie di vita che via via propone. Non che gliene importi qualcosa.
Corre verso la zona notte, saluta Eva con un paio di festosi giri intorno e lei partecipa al gioco ruotando interamente la sua testa a forma di cupola per parecchie volte e in senso contrario. Alla fine emette un suono preso in prestito dai vecchi cartoni animati, come se fosse una molla scarica pronta a cadere in terra e Argo corre a sdraiarsi sul tappeto sporco di caffè.
Anna ne ha abbastanza del paesaggio fuori. 
Non potrà mai permettersi un bambino vero. Vuole vedere come sta Claude e se intanto il tempo sia peggiorato. Chiude la porta ricacciando indietro il caldo. 
È sicura che Tony, come al solito, tornerà a casa sano e salvo e con le taniche piene e poi chissà, probabilmente il quindici maggio pioverà per davvero.
Prova a dimenticarsi i suoi ricordi di bambina, chiude gli occhi, pensa a qual quadro di Monet e scaccia via il dolore alle tempie. 
Dopotutto gli umani vivono meglio se chiusi dentro una gabbia.
“Eva, accendi la finestra.”

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