giovedì 25 marzo 2021

The winner takes it all - La sosta obbligata.








La ragazza inzuppata entra nel bar e si chiude la porta alle spalle.
Il vento, gonfio di pioggia, carica l'anta con la forza di un'esplosione e la fatica per chiuderla è doppia. Spinge, si appoggia con tutto il peso e finalmente la serratura scatta, chiudendo fuori il diluvio. Si vergogna dei capelli appiccicati al volto, dello spolverino bianco sporco ridotto a uno straccio e del trucco andato a farsi benedire. Si vergogna della pozzanghera accanto allo zerbino, che entrando ha nutrito ancora e che adesso si allarga verso il centro del piccolo locale e fino alla tenda in motivi floreali che copre la nicchia nel vecchio muro. È impregnata per mezzo metro d'altezza e la segatura, che avrebbe dovuto assorbire l'acqua, è riunita in tanti mucchietti fradici sparpagliati ovunque. 
La barista dietro al banco, meno di trent'anni, capelli scuri e capricciosi raccolti con un foulard intorno alla fronte, appariscenti orecchini in ceramica e occhi intelligenti valorizzati da un paio di sopracciglia ampie e folte, sta risciacquando la cioccolata rinsecchita dal bordo di una tazza. Il vapore sale dal lavello e appanna il vetro dell'espositore liquori. L'odore di caffè, biscotti e punch caldo arriva fino ai tavoli e gli avventori, tutti, sono bagnati come pulcini. Ci sono un rappresentante di farmaci infreddolito, con la faccia da sconfitto e la valigia in pelle messa ad asciugare accanto al termosifone, una coppia di anziani scalzi, stretti nelle loro giacche in attesa che le scarpe tornino ad essere calde e un cacciatore con tanto di mimetica e cappello calato sulla fronte. Il fucile, verde scuro e apparentemente pesante come una zappa, è posato sul tavolo accanto a una tazza di tè che si accompagna con un piattino di biscotti assortiti e le due cose stridono come una drag queen alla festa dell'asilo. Il foro della canna, grosso e buio, è rivolto verso la finestra che inquadra le poche auto parcheggiate e il piazzale ridotto a un lago. La ragazza, preoccupata,  guarda l'arma con una smorfia di disgusto. È tenuta fuori dalla custodia, abbandonata sulla panca, ed è così, così minacciosa. Non riesce a censurare l'espressione fra lo sdegno e la paura.
Il televisore, un grosso Samsung che occupa un terzo della parete in tinta ocra che si oppone a quella con la nicchia e la tenda zuppa, trasmette il notiziario locale. Parla del maltempo, della bomba d'acqua che si è scatenata senza preavviso su mezza provincia mettendo in ginocchio il traffico. Un inviato, sotto la cerata arancio e al labile riparo di un piccolo ombrello non ha più fiducia nelle sue scarpe basse. Cerca, insieme al suo fedele operatore, di inquadrare quello che resta del ponte romano che da duemila anni, e fino a qualche minuto prima, s'ingobbiva come la schiena di un gatto sopra il torrente. Si scorgono una massa informe di pietre divelte e una cascata di acqua e fango alla conquista dei prati. Scivola fuori dall'alveo come la lava di un vulcano. La ragazza con lo spolverino indica lo schermo e impallidisce. La voce, al contrario del fiume infuriato, esce con un filo.
“Sono...sono passata su quel ponte meno di venti minuti fa.”
“Era prevedibile.” commenta il cacciatore mentre mastica un biscotto. “quel ponte è più vecchio di mia suocera e quel torrente non conosce vie di mezzo. Si sapeva che avrebbe preso presto  un calcio nel culo.”
La ragazza con lo spolverino lo ricorda. Riduceva la carreggiata a un'unica corsia e lei, disciplinata come sempre, si era avvicinata al cartello al principio della campata per interpretare il diritto di precedenza. Pioveva con una tale violenza che i tergicristalli, al massimo della velocità, non erano riusciti a tenere pulito il parabrezza. Era passata e aveva sentito il rombo dell'acqua e i sassi che scricchiolavano nella corrente impetuosa. Le era sembrato di vedere galleggiare un grosso albero. Le era sembrato che un animale morto e gonfio rotolasse fra le onde. Tutti gli avventori sono convinti che  sia stata fortunata  nell'avere trovato quel bar sperduto al margine della strada. La signora anziana toglie le parole di bocca al marito, si strofina le mani e domanda.
“Ma perché è arrivata a piedi, signorina?”
Sente il freddo nella schiena. “La macchina si è fermata all'improvviso e per fortuna che non ero lontana da qui!
La barista si avvicina. Le toglie lo spolverino e lo appende. Un asciugamano pulito è pronto per lei e la complicità fra donne è messa in pratica nella maniera migliore.
“Grazie!”
“Ma ci mancherebbe” dice, mentre prende in consegna la borsetta con l'intenzione di appenderla al termosifone. “Cos'è successo alla tua auto?”
La domanda è interessante e il rappresentante di farmaci smette di scrollare lo schermo del suo cellulare e attende.
“Non so. Non ci capisco niente ma il motore si è fermato all'improvviso e adesso è parcheggiata in uno spiazzo a bordo strada, un posto talmente nascosto  che spero di trovarlo ancora quando...”
La barista ride. Ha i denti bianchi e puliti che esaltano il colorito sano della carnagione. “Quando i motori si fermano all'improvviso, spesso vuole dire che sei in bolletta.”
Ride. “Non ti sbagli. Sono quasi al verde...”
Il signore anziano si alza per sgranchire le gambe costrette nei pantaloni umidi. Si aiuta appoggiando i palmi aperti sui lombari e cammina claudicante fino alla tenda bagnata. Porta ancora quei pantaloni con la vita esageratamente alta. “E si è fermata così, senza preavviso?”
“Senza preavviso.” conferma lei. 
È bella, il viso regolare accoglie bene la curva del naso e ancora meglio le labbra sottili sopra il mento delicato. Ha il collo lungo e il biondo naturale dei capelli, che si stanno asciugando, interseca una collana di bigiotteria, sobria ma elegante. Ha l'aria di essere una persona gentile. Il cacciatore si sporge sul fucile e dimostra di intendersene.
“Vecchia auto?”
Lei arrossisce. Quella carretta degli anni '80 la mette sempre in imbarazzo. “ Una UNO blu, ma di un blu sbiadito, oramai..”
“Motore Fire, quindi?”
“Non...non saprei.”
Pare che il rappresentante voglia dire la sua ma il cacciatore lo anticipa. È uno di quei prepotenti che inizia il discorso, lo finisce e nel tempo che avanza spara ai cerbiatti. “La calotta dello spinterogeno...”
“Io non mi intendo di...”
Il cacciatore gesticola come se volesse avvitare il coperchio di un vasetto di marmellata. “I motori di quel tipo hanno la calotta dello spinterogeno poco impermeabile e quando si passa dentro troppe pozzanghere si finisce col rimanere a piedi.” sentenzia, mentre il rappresentante annuisce. “Per ripartire, signorina, che le piaccia o no dovrà asciugare la calotta con uno straccio.”
La ragazza ringrazia per il consiglio e si rivolge al televisore, dove un meteorologo dall'aria preoccupata indugia con la bacchetta su un vortice nero. “E allora dovrò aspettare un bel po'. Prendo...prendo un cappuccino con un cannolo.” si sforza di sorridere. “Ci sono quelli con lo zabaione?”
“Anche io un cappuccino.” aggiunge il rappresentante.
La barista apre il contenitore delle paste e indugia per qualche secondo convergendo gli occhi sul fondo, dopo i croissant zuccherati in superficie. Il cannolo è adagiato proprio li, morbido e peccaminoso. Il sorriso è rassicurante. “Eccolo, me ne avanzava uno.” Lo prende. aiutandosi con un tovagliolo di carta, cerca alle sue spalle un piattino accanto alla macchina del caffè e si organizza per preparare il cappuccino. Mentre armeggia fra pomelli e leve, il notiziario prosegue da studio. L'ospite, un funzionario statale in giacca e cravatta, dice che il livello di allarme è al massimo e che in tutta la zona intorno alla provinciale 23, rimane un solo ponte percorribile ma che per prudenza sarà aperto solo ai soccorsi e alle forze dell'ordine. Si esprime in un burocratese freddo e tecnico. 
La donna anziana si rivolge al cacciatore. “È questa la provinciale 23?”
“Non conosco la zona come le mie tasche, signora, ma in questa valle c'è posto per una strada sola, e dev'essere proprio la provinciale 23. Come voi, sono capitato per scampare al diluvio e sono chiuso qui dentro per non finire affogato e anzi, vedo che la nostra barista è indaffarata con i cappuccini e quasi quasi, se fossi in tempo...”
La barista posa il cartone del latte e indugia sulla spia del vapore. L'esibizione di denti candidi e perfetti è di quelle che mettono gli uomini in imbarazzo. “Appena la baracca deciderà di entrare a regime...”
“Devo avvertire mia moglie.” sbotta il rappresentante che si guarda bene dall'uscire e va a telefonare in bagno portandosi appresso la valigia con il campionario. La vecchia signora si palpa i piedi e si rassegna ad aspettare ancora molto prima che asciughino. “Pensate che noi eravamo usciti per una gita in montagna e guardate che disastro. Siamo stati bravi a capire per tempo  che quelle nuvole scure portavano disgrazie e niente, Gerlando ha guidato fin che poteva ma alla fine sembrava di essere sotto una cascata. Vero, amore?”
Sbuffa. Gerlando sbuffa e non vuole rispondere. L'umore è cattivo perché il suo apparecchio acustico ha le batterie che stanno per scaricarsi e non sarà a casa per la partita e per tutte quelle brutte notizie che la televisione non smette di dare. Questa volta lo scenario è di sangue e disperazione. Ci sono cadaveri coperti dalle lenzuola che sotto la luce livida dei neon appaiono come mucchi di biancheria sporca. La polizia si aggira nervosa per i locali mentre una ressa di fotografi spinge addosso alle vetrate.
“Oh mio Signore! Ma cosa è successo?” esclama l'anziana donna mentre il marito la prega di non agitarsi. “Lucia, bimba mia.” le sussurra. “sai che il dottore si è raccomandato...”
Arrivano i cappuccini per la ragazza e per il rappresentante e lo stesso servizio è per il cacciatore, che dimostra di avere una marcia in più e sorprende tutti. “Cos'è successo? Facile. Questa mattina c'è stata una rapina in banca nel paese qui sopra e la cosa è scappata di mano. Una gran bella giornata di merda per questa zona.”
“Nel senso che sono morti degli ostaggi?” chiede il rappresentante di farmaci mentre rientra dal bagno con la borsa di pelle pizzicata sotto il braccio.
“Nel senso che un paio di pazzi si sono improvvisati pistoleri e hanno tirato fuori le armi quando non dovevano e il rapinatore ha reagito male. Era solo e a quanto pare molto scaltro. Aveva la faccia coperta con la maschera di Jimmy Carter, tale quale a quella che usavano in quel vecchio film.”
“Point Break?” domanda la bionda pur sicura di non essersi sbagliata.”
“Già, non guardo quelle ciarlatanate ma ricordo bene il titolo e sì, pare che quel figlio di puttana fosse più veloce di Sundance Kid.” imita la pistola con la grossa  mano pelosa “Ne ha stesi due più uno omaggio, tanto per mettere le cose in chiaro e dicono si sia portato via seicentomila biglietti.”
“E lei come lo sapeva?” chiede la barista, che ci ha preso gusto e dietro il bancone sta preparando un cappuccino anche per sé.
“Notizie fresche, alla radio. L'ascoltavo in macchina mentre scendevo e facevo fatica a distinguere le curve e poi ho visto il bar e ho deciso che oggi, di grane, ne avevo avute abbastanza.” picchietta sul fucile che traballa sul tavolo. “Ora capite perché lui è pronto a dire la sua, dal momento che alla radio hanno anche detto che il bandito e il suo complice che lo aspettava fuori sono  sgommati via con una Bravo nera e che una guardia giurata gli ha piazzato un proiettile nel parabrezza. Pare non abbia colpito nessuno, dal momento che non ci sono più notizie di quell'auto.”
Lucia, l'anziana signora, è scandalizzata come una novizia nella curva dello stadio. “ E pensa...”
“Pensa che potrebbero avere bisogno di ostaggi per coprirsi la fuga e magari cercarli in un bar isolato.”
“Bravo, come ti chiami?” 
“Antonio.” risponde il rappresentante, fiero della sua intuizione, mentre passa la mano fra i capelli che la pioggia ha fatto ondulare. Sa di essere un bravo venditore, è abituato a correre e a visitare molti medici e tanti farmacisti per ogni viaggio. Deve guadagnare il più possibile perché sua moglie è incinta del secondo figlio e ci sono le gomme dell'auto da cambiare e il tetto di casa che reclama una ripassata. Sarebbe tentato di andarsene, di mettersi in strada per tornare al lavoro mentre la pioggia è fitta come una colata di cemento ma poi riflette.  “Hanno detto che siamo isolati, che il ponte a valle è chiuso e che passano solo sbirri, pompieri e ambulanze. Sarebbe stupido partire adesso. La pensate come me?”
La bionda solleva le spalle e beve un sorso. “Con il cappuccino così buono posso fermarmi per cena... A proposito, mi chiamo Gisella.” 
“Io Marta.” interviene la barista dopo avere alzato la mano come una scolaretta. 
Il lampo che non si aspetta nessuno spacca in due il cielo e Gisella, spaventata, va a sbattere dentro la tenda bagnata. Imbarazzata si divincola scusandosi e fa due passi avanti, attenta a evitare la solita pozzanghera.
“Se vuoi fermarti per cena, mettiti comoda.” dice la barista indicando lo sgabello al banco. È uno di quei mobili minimalisti, con l'imbottitura rossa sopra un telaio di acciaio cromato. Gisella obbedisce. Lo trascina a sé, si siede e mette in mostra un bel paio di gambe.
Il cacciatore consolida la sua posizione di maschio alfa. “Le piace passeggiare in montagna, vedo...”
“No, in montagna no. Mi piace correre al parco.”
“Il motivo?”
“Detesto i cinghiali e ho paura che qualche cacciatore mi scambi per uno di loro.”
Il ghigno storto della barista è riflesso nel vetro dietro ai liquori.


La Bravo nera, con il lampeggiante posticcio sul tettuccio e gli ammortizzatori stanchi come vecchie carrette, attraversa il piazzale con le ruote immerse per metà e schizza senza riguardo l'acqua sulla vetrina. All'interno sembra di avere ricevuto un ceffone e Gerlando e Lucia scattano in piedi. 
I due che scendono non badano all'etichetta: sono uno alto e gobbo e l'altro basso, corto di gambe tozzo di polsi e elegante come un montone alla sfilata di moda. Tutti e due vestono giacche a vento nere e portano berretti scuri che sfiorano le sopracciglia. Entrano nel locale sgocciolando ed esibendo i distintivi della polizia ancor prima di salutare. Quello  basso presenta lo spettacolo con una voce inaspettatamente effeminata.  “Niente panico, stiamo perlustrando la zona per mettere le mani su dei criminali.”
“Quelli della rapina in banca?” domanda Antonio mentre tira a sé il prezioso campionario, ma non ottiene risposta. Gisella, sullo sgabello, stringe insieme le cosce e impallidisce. Marta mette le mani aperte sul bancone. “Be', amici, avete sbagliato indirizzo. Questa è l'ultima riunione dei piedi bagnati, una tribù in via di estinzione che i visi pallidi cattivi perseguitano anche nel suo habitat naturale. Gradite qualcosa di caldo?”
Lo sbirro alto si fa avanti e Marta solleva istintivamente le mani.  Al contrario del collega tozzo, esibisce una timbro di voce tenorile. “Non siamo qui per fare gli spiritosi. Documenti, signorina!”
“Ok” risponde Marta agitando le dita. “Ok. Queste le posso abbassare fino alla borsetta?”
“Be', noi abbiamo da fare, non stiamo a pettinare le bambole o a scambiarci complimenti. Mario, vai a dare un'occhiata al cesso...” Il poliziotto basso ciondola fino alla porta del bagno, guarda dentro e già che c'è, entra per una pisciata.
“Dicevamo, signorina. Documenti..” poi fa un giro d'orizzonte, estrae la pistola dalla fondina e la solleva perché tutti possano vederla. ”Pure voi. Tutti quanti, forza!”
Lucia trema mentre rovista nella borsetta e il rappresentante Antonio fa altrettanto agendo sulla serratura della sua preziosa borsa. È a quel punto che il fucile del cacciatore si solleva e mira dritto nello stomaco dello sbirro. 
“No, nessun documento. Non so nemmeno come si chiama, è entrato senza pulirsi le scarpe e non mi ha chiesto se le armi mi rendono nervoso. Direi che prima di tutto siete voi a dovervi presentare.” una breve occhiata al televisore e poi ancora come prima, pronto a sparare. “L'inviato da lassù ha detto che i banditi sono scappati a bordo di una Bravo nera e se non mi sbaglio.” lancia un'occhiata a Gerlando. “Scosti la tendina che guardiamo meglio. Se non mi sbaglio, dicevo, voi due siete appena arrivati con una bella, fatemi vedere bene, una bella Bravo nera, del 2005 direi. Sono quelle combinazioni che ti fanno stringere il dito sul grilletto, un po' come una colonna con dieci cervi belli grassi.” 
Quando esce dal bagno, l'agente basso ha già la pistola spianata ed è lì che dalla valigia del rappresentante spunta una Glock 17, abbastanza vissuta da fare pensare che il proprietario abbia imparato a sparare. La risata di Marta è sincera. “Lo stallo alla messicana! Da una vita aspettavo di vederne uno dal vivo...”
Lo sbirro alto, che nel frattempo ha messo il cuore del cacciatore nel mirino, raduna la saliva in bocca e sputa nella pozzanghera. “E allora, goditelo...”
“Allora giù le armi, altrimenti andiamo tutti in merda!” urla l'agente con la voce da eunuco ma il bello arriva quando Marta usa la spalla di Gisella per appoggiare la doppietta a canne mozze spuntata da sotto il bancone come per un gioco di prestigio, e mira al bersaglio vicino. Lo sbirro alto, adesso, è tenuto sotto tiro da due armi. Non perde il sangue freddo e anzi, dal momento che il suo potere contrattuale è crollato, prova a ritrattare.
“Bene, a questo punto del film ci facciamo tutti una risata e amici come prima, d'accordo?”
Il cacciatore non ci sta. Ha la faccia scavata dalle rughe e la pelle ruvida e spessa come quella di un elefante. Gli occhi esprimono tensione e fiera determinazione. “Io invece dico che il mio amico Gerlando mette le scarpe per evitare un mal di denti, prende un ombrello e va a vedere se il parabrezza della vostra bella auto è bucato da un proiettile, così, tanto per farci un'idea delle carte che abbiamo in tavola.” non si gira e pare parlare con il solo angolo della bocca. “Sei d'accordo, Gerlando?”
Come poco prima, Gerlando si alza aiutandosi con le braccia che subito preme sulla schiena dolorante. Le scarpe ancora bagnate sono ai piedi del tavolo. Picchietta sull'apparecchio acustico che comincia a malfunzionare e stringe le labbra grinzose in una smorfia. “È bene che questa storia finisca presto e se prendermi i reumatismi servirà a farla finire, allora li prenderò.”
“O mio Dio, Gerlando, fai attenzione!” 
Calza le scarpe senza allacciarle, attraversa il locale con l'anima in spalla e apre la porta che lascia passare una folata di vento formato camion con rimorchio. Prima di uscire, pesca un ombrello a caso fra quelli appoggiati al muro, guarda la moglie e la rassicura con un bacio con lo schiocco, una cosa che deve avere imparato da giovane. “Vado, bimba. Vado e torno.”
Marta, senza abbassare il fucile, strizza l'occhio allo sbirro alto e con la testa e insistentemente, indica la tenda davanti alla nicchia. Guarda il cacciatore e fa lo stesso con l'altro poliziotto e il rituale è ripetuto anche con il rappresentante. I labiali sono facili da interpretare e quelle labbra da bacio, fidatevi, aiutano a stare attenti. 
Sussurrano: “Il bandito è dietro la tenda”.

E dopo un gesto d'intesa con il cacciatore, lo sbirro alto strappa la tenda con un colpo deciso e appare lui: Jimmy Carter. 
È largo di spalle, robusto, fermo sulle gambe tornite che i jeans bagnati fino alla vita fanno apparire in tutta la loro potenza. La maschera ha quel sorriso forzato che suscita nervosismo, le orbite vuote, le basette imbiancate e le guance abbondanti e mollicce. Nella foga tutti si ritraggono e l'agente grasso nota per primo quella pistola nera che sbuca dalla tasca dei pantaloni e grida con tutto il fiato che ha in gola e la voce gli esce anche questa volta come quella di un bambino.
“Mani in alto, bastardo! Non provare a toccare l'arma che ti faccio un buco in faccia!”
Ma Jimmy Carter è freddo come una statua. Le maschere si sa, hanno quell'espressione fissa, imperscrutabile, che può fare la fortuna di un giocatore di poker ma che irrita mezza umanità. Impossibile interpretare le sue intenzioni dai movimenti del corpo, anzi, a dirla tutta è immobile come una statua. Alla banca, dopotutto, ha dimostrato di essere un assassino purosangue e un infallibile tiratore ed è lì che la mano si avvicina alla pistola e allora il locale si trasforma in un poligono. 
Spara lo sbirro magro, spara lo sbirro grasso. 
Spara il rappresentante di farmaci e spara il cacciatore, che con troppa foga colpisce nel collo lo smilzo che invano tenta di contenere il getto di sangue dalla carotide. Il proiettile, che continua la sua corsa ignorante, piomba nei piatti impilati negli scaffali dietro Jimmy Carter che a quel punto si ribalta come un giocatore del calcio balilla e cade in terra morto, in un frastuono di ceramiche in frantumi, grida, spari e bestemmie. Rimane lì, a fare il paio con l'agente che sprizza sangue come la fontana in piazza.   
Il poliziotto tozzo ha visto tutto, e ha capito. Il cacciatore deve essere uno dei banditi perché ha sparato al suo collega a mirando alla testa. Ha approfittato della confusione  e ora aspetta solo il momento buono per girarsi e ficcargli un po' di piombo nello stomaco e allora decide. Accecato dal panico, attraversa la stanza e vede scorrere con la coda dell'occhio i protagonisti della sparatoria: l'uomo con la borsa in pelle che ha lasciato cadere in terra la sua Glock, la vecchia signora affamata d'aria e pallida e il cacciatore. Di spalle è solo una massa di verde mimetico e carne ormai morta. Prima di sparagli alla nuca, nota il ciuffo di capelli radi e unti che sbuca da sotto il berretto. 
Il proiettile esce dalla bocca e si conficca nel tavolo. Il cacciatore rimane fermo, con il capo chino, il fucile ancora imbracciato e un getto di sangue che sgorga dal naso e pare non finire mai. Il particolare che lo riporta alla realtà è quella coppia di incisivi, schizzati sullo schienale della sedia e rimasti appiccicati assieme a un pezzo di gengiva. 
Si accorge troppo tardi del fucile a canne mozze attaccato al suo orecchio e quando si gira per capire chi è, la cartuccia gli esplode in faccia.
“Scusate per il disordine.”
Dice Gisella, che ha sottratto la doppietta a Marta e che adesso è dispiaciuta per le frattaglie che hanno invaso la parete e per quell'odore di macelleria che si è impossessato del locale. 
Marta è fredda come un paio di piedi in inverno. Impugna una rivoltella, tiene sotto tiro il rappresentante e capisce subito che non ha nessuna intenzione di raccogliere la sua Glock. Gerlando, duro d'orecchi da un bel po', entra nel bar come se niente fosse e sentenzia:
“Non c'è nessun buco nel parabrezza.”


“Quanti sono?”
“Be', quattrocentocinquantamila...”  e sorride mentre, sotto la luce di cortesia dell'auto, si impegna a tenere le mazzette in equilibrio sulle gambe. Gisella ha quell'aspetto da ragazzina ingenua che l'aiuta a mimetizzarsi, a farla franca ogni volta. Nessuno sospetta mai di lei e grazie al suo bel visino è sempre riuscita a cavarsela bene nel mondo della malavita. 
Marta ha fatto un bel respiro una volta passato il posto di blocco e attraversato l'unico ponte percorribile sotto quel cataclisma di acqua e vento che ha sfiancato uomini e cose. La polizia, appena vista un'auto delle loro con tanto di lampeggiante sul tettuccio, l'ha fatta passare senza nemmeno guardare dentro, esattamente come avevano previsto. Ora è leggera come un passerotto a primavera e un po' più ricca di prima.
Avrebbero evitato di uccidere il barista e di appenderlo nella nicchia con il gancio dell'appendiabiti  piantato nella schiena. L'avrebbero evitato se solo non le avesse accolte imbracciando il fucile a canne mozze. Quella notizia della Bravo nera con il parabrezza forato, doveva essere arrivata alle sue orecchie ascoltando lo stesso giornale radio che aveva informato il cacciatore. 
Ruscelli spontanei scendono dalle scarpate trascinandosi appresso erba, foglie e terra e l'acqua ha trasformato la strada in un torrente. Al primo buio della sera, i lampi sempre più vicini dipingono spettri ovunque. Gisella, che ha appena rimesso i soldi nella borsa, teme di avere lasciato troppe tracce.
“Crederanno alla storia che il barista è impazzito e ha rifatto i connotati allo sbirro? Che c'era un fucile di troppo e tanta tensione da gestire, troppa per un cacciatore senza sangue freddo abituato a stare accovacciato fra i funghi?”
“Finché non avranno una storia migliore a cui credere..”
“Manterranno il segreto quei tre?”
Marta si strofina gli occhi. “Questo lo scopriremo presto ma  che volevi, uccidere pure loro?”
Gisella si spazientisce. La sua flemma da assassina si sta sgretolando. La giornata è stata pesante e non solo ha dovuto sparare in banca perché quei clienti volevano giocare ai pistoleri ma anche bagnarsi fino alle ossa per fare sparire l'auto. L'aveva portata sul bordo scivoloso del fiume per spingerla dentro, ed era stata una fatica. Nella migliore delle ipotesi l'avrebbero ritrovata dopo mesi, lei e il suo buco nel parabrezza. Marta la rassicura. “Gli abbiamo lasciato cinquantamila a testa e tutti, fidati, davano l'impressione di averne un gran bisogno, specie quel tipo con la valigia e la Glock. ”
“Sì, quel rappresentante mi ha fatto pena, un ometto patetico!”
“Per dirla tutta, la Glock è diventata mia.” risponde Marta divertita, agitando la pistola del rappresentante. “Il vincitore prende tutto.”
Gisella fa una smorfia di disappunto. Quella calibro nove tutta consumata sarebbe piaciuta a lei, che dopotutto si era presa carico delle incombenze più antipatiche. “Chi lo diceva?”
“Cosa, che il vincitore prende tutto?”
“Sì...”
“Ah, un mucchio di gente. Gli ABBA l'avevano pure cantato...”
Gisella ricorda di avere visto il film con Meryl Streep e si sforza di farsi venire in mente il motivetto ma le sfugge via come un pesce vivo fra le mani bagnate. “E i due vecchietti?”
“Il cuore della signora non è esploso e lui è rimasto in piedi senza nemmeno dare di stomaco. Andranno a casa contenti di essere vivi e fieri di avere raccontato tutte quelle balle agli sbirri. Reciteranno qualche preghiera per farsi perdonare e poi via, cambieranno la batteria all'apparecchio acustico e partiranno per  una bella vacanza al mare senza spendersi tutta la pensione.”

Le montagne con il loro carico distruttivo di pioggia sono alle spalle. 
La Bravo nera, il loro speciale passaporto, prevista nei loro freddi calcoli di criminali e rubata agli agenti, è anonima come un verme nelle zolle umide. Gisella ha quegli sbalzi d'umore che schizzano come l'elettrocardiogramma di un cuore malato.
“Sulla maschera di Jimmy troveranno il mio DNA e magari qualche mio capello in giro?”
Marta è concentrata alla guida. Annuisce con la testa. “È molto probabile.”
“E le impronte digitali. E poi ho bevuto il cappuccino che mi hai fatto tu.” si rabbuia. “ per la fretta non abbiamo nemmeno lavato le tazze.”
Marta rallenta. È strano, perché dopo ore la pioggia si dirada e la strada appare nitida oltre il parabrezza asciutto. A pensarci bene, lei aveva i capelli raccolti in un foulard e si era risciacquata la tazza con cura.  
Gisella si rabbuia. 
Non sarà possibile fare altri colpi e nemmeno sperare ancora nella buona sorte. I soldi ricavati sono pochi e  fra qualche anno lei e Marta dovranno reinventarsi per sopravvivere, oppure...
“Il vincitore prende tutto.” dice Marta mentre l'auto si arresta sul bordo della strada. Canticchia intonata quel pezzo che gli ABBA avevano portato al successo tanti anni prima. Parlava di una separazione, dura ma inevitabile. È incredibile come certe volte le melodie scompaiano dalla mente senza apparente rimedio, per tornare prepotenti come un disco al massimo del volume appena si accennano le prime note:
 
I apologize
If it makes you feel bad
Seeing me so tense
No self-confidence
But you see
The winner takes it all”

La Glock, appoggiata sulle costole, trema, e Gisella questa volta, capisce. 
I soldi sono pochi per tutte e due.

Il suo ultimo sguardo sul mondo, che prova a strizzarsi l'acqua di dosso mentre la canzone degli ABBA le trapana il cervello con la sua essenziale struttura di pianoforte e chitarra, è un tramonto rosso sangue che sgomita per farsi strada fra le nuvole esauste.

© Diritti riservati



Nessun commento:

Posta un commento